Preistoria, cambiamento climatico e adattamento sono i temi al centro di tre intense giornate di studio a Firenze dal 24 ottobre mentre una mostra presenta manufatti di scavo inediti relativi ai nostri antichi antenati. Ne parla il presidente dell'Istituto italiano di Preistoria e protostoria

Per i 70 anni dell’Istituto italiano di Preistoria e protostoria, a Firenze dal 24 al 26 ottobre studiosi da tutto il mondo si confronteranno su archeologia e archeobotanica, geoarcheologia e archeozoologia, antropologia e biologia molecolare. E fino al 12 gennaio, si potrà visitare la mostra 170.000 anni fa a Poggetti Vecchi. I Neanderthal e la sfida del clima. Lo studio dei nostri antenati ci aiuta a capire il climate change oggi, è quanto spiega il professore Andrea Cardarelli, presidente dell’Istituto, in questo testo per Left.

Una delle problematiche più attuali e drammatiche a livello planetario riguarda i cambiamenti climatici e ambientali che stiamo vivendo negli ultimi decenni. Considerando la questione in una prospettiva temporale molto ampia, tuttavia, non è certamente la prima volta che le comunità umane si trovano a far fronte a modificazioni rilevanti per la loro stessa sopravvivenza. La storia dell’umanità è occupata per il 99% dal periodo che definiamo preistoria: appare quindi evidente che per comprendere il rapporto con l’ambiente e il clima non sia possibile prescindere da questo lunghissimo e determinante momento delle nostre origini.

In occasione del settantesimo anniversario dalla sua fondazione, l’Istituto italiano di Preistoria e protostoria propone un’iniziativa volta ad approfondire questa tematica con una riunione scientifica che si terrà presso il Dipartimento di Biologia dell’Università degli Studi di Firenze fra il 24 e il 26 ottobre, il cui titolo, Rischio e risorsa. La risposta delle comunità preistoriche alle sfide ambientali, indica come i fattori climatici, anche critici, possano aver determinato drammatiche conseguenze ma anche aver innescato risposte resilienti e innovative. Attraverso una serie ampia di casi studio che coprono un lunghissimo arco temporale, dal paleolitico all’età del ferro in Italia, ci si interrogherà su questa fondamentale problematica attraverso approcci multidisciplinari. Contestualmente alla riunione scientifica verrà inaugurata sempre a Firenze, tra il Museo archeologico nazionale e il Museo di antropologia e etnologia, la mostra 170.000 anni fa a Poggetti Vecchi. I Neanderthal e la sfida del clima, dedicata a un importante contesto paleolitico che ha restituito straordinari reperti lignei, tra i più antichi conosciuti al mondo, a cura di Biancamaria Aranguren, Silvia Florindi, Daniele Federico Maras, Daniela Puzio e Anna Revedin, col contributo di Regione Toscana e Fondazione CR Firenze, in collaborazione con Museo archeologico nazionale di Firenze e Sistema museale d’Ateneo dell’Università di Firenze (info: www.iipp.it).

Ci si può legittimamente chiedere se, e fino a che punto, si possa ricostruire una storia del rapporto fra le comunità umane e l’ambiente per un periodo così lungo e privo di fonti scritte. L’archeologia della preistoria e protostoria è oggi divenuta una disciplina multidisciplinare, e oltre al consolidato studio dei contesti di scavo e dei manufatti prodotti dall’uomo dispone di una pluralità di approcci scientifici: dalla geoarcheologia all’archeobotanica, dall’archeozoologia alla archeologia dei resti umani, comprendendo anche l’archeologia biomolecolare e l’archeogenetica. Abbiamo quindi a disposizione un amplissimo spettro di informazioni che ci consente di ricostruire il lontano mondo delle nostre origini.

Gruppo nomade in un paesaggio steppico delle glaciazioni circa 35.000 anni fa. Disegno di Tom Bjorklund

La relazione fra comunità umane, clima e ambiente non fu univoca e unidirezionale, e spesso si concretizzò in sorprendenti forme di resilienza, adattamento e risposte che non di rado portarono a straordinarie innovazioni culturali e tecnologiche. Tuttavia bisogna evitare un approccio eccessivamente deterministico, basato su causa ed effetto. Come ci insegna Jared Diamond, in uno dei suoi libri più noti, a volte i mutamenti ambientali, anche determinati dall’uomo, hanno provocato il collasso di interi sistemi sociali, ma in altri casi c’è stata da parte delle società umane una risposta adattiva o resiliente, e anzi il fattore critico è stato la chiave per un importate cambiamento innovativo sul piano economico, sociale e politico. In altri termini, la sfida vincente per le comunità umane è la capacità di rispondere alle crisi innovando il proprio sistema produttivo e modificando strategie e rapporti nel modo di produzione e nelle forme di organizzazione socio-politica.

Fin dai primordi le comunità umane hanno sviluppato capacità adattative a fronte di criticità ambientali e climatiche, volgendole spesso a proprio vantaggio. In tal senso il caso di Poggetti Vecchi, il sito preistorico oggetto della mostra che inaugurerà il 24 ottobre alle 18, è paradigmatico. Il contesto si data a circa 170.000 anni fa all’inizio della penultima glaciazione, un periodo in cui il clima si stava raffreddando. I resti della microfauna indicano che la temperatura era inferiore di almeno 6° C rispetto a quella odierna. Ampie radure erbose e acquitrini caratterizzavano un paesaggio in cui pascolavano animali di grandi dimensioni fra cui l’elefante antico, alto fino a 4 metri all’attaccatura della spalla e pesante fino a 10 tonnellate. La sorgente termale di Poggetti Vecchi e il micro-ecosistema che si formò attorno ad essa attirò i pachidermi ma si trasformò in una trappola mortale di cui un gruppo di Neanderthal seppe approfittare.

Un esempio eclatante di resilienza e innovazione è quello dell’insorgere delle prime società ad economia produttiva in Vicino Oriente, a partire da circa 12.000 anni fa. La fine delle glaciazioni e le conseguenti profonde modificazioni ambientali determinarono in quell’area fattori di crisi nell’economia dei gruppi umani, concentrando le risorse in alcune aree dove si registrò un consistente incremento della popolazione e conseguentemente un aumento delle necessità di cibo. La risposta fu l’introduzione della coltivazione di piante e la domesticazione di animali. Il processo non fu immediato e necessitò di molti secoli, ma alla fine l’umanità conquistò la capacità di non dipendere esclusivamente da caccia e raccolta, ma di produrre cibo e perfino di creare surplus economico. Una rivoluzione straordinaria, alla base di tutti i futuri sviluppi dell’umanità. Questa innovazione così fondamentale si diffuse successivamente dall’area di origine a tutta Europa, ma qui la maggiore diffusione delle risorse strategiche permetteva una minore concentrazione demografica della popolazione, dando luogo a territori popolati per millenni da una miriade di piccoli villaggi. Nel Vicino Oriente e in Mesopotamia, viceversa, le condizioni ambientali favorirono rapidamente lo sviluppo in grandi villaggi popolati da migliaia di individui e più tardi delle prime città e dei primi stati.

Una ricostruzione della vita dei Neanderthal

Non andò sempre bene. Un caso italiano di collasso di una importante cultura a seguito di condizioni climatiche e ambientali non più favorevoli si verificò nell’età del Bronzo. All’incirca tra 1650 e 1150 a.C. l’area centrale della pianura padana fu interessata da un popolamento assai intenso costituito da centinaia di villaggi fortificati, noti in letteratura con il nome di Terramare. L’economia di questa società era basata su una ricca produzione agricola e su un fiorente allevamento, favoriti anche dalla capacità di realizzare importanti opere idrauliche. Il territorio subì un profondo cambiamento e il paesaggio naturale, caratterizzato da una consistente copertura forestale, si trasformò a seguito dell’abbattimento di oltre la metà dei boschi, in un territorio decisamente antropizzato. Il modello economico delle Terramare ebbe un grande successo per oltre quattro secoli e ciò fece aumentare in misura molto consistente la popolazione. Tra il 1200 e il 1150 a.C. però le condizioni climatiche si modificarono in senso più arido determinando uno squilibrio fra capacità produttive e popolazione, probabilmente in parte causato anche dall’eccessivo sfruttamento dei suoli. Il cambiamento determinò verosimilmente una concatenazione di reazioni sul piano sociale e politico che sfociarono nel collasso del sistema provocando un sostanziale abbandono della pianura. Questo drammatico impatto ebbe certamente conseguenze meno rilevanti nelle aree marginali delle montagne dove l’economia e la consistenza demografica non raggiunse i livelli di specializzazione della vicina grande pianura. Il caso delle Terramare dimostra che le conseguenze delle modificazioni climatiche sono profondamente correlate ai modelli economici adottati e all’uso del territorio. Una lezione che dovremmo tenere presente anche per l’oggi.

La storia climatica più recente del pianeta, che alcuni hanno proposto di chiamare Antropocene (definizione che però non è stata avallata dalla comunità scientifica degli scienziati), vede l’emergere a scala globale di modificazioni in cui l’impatto umano agisce profondamente su clima e ambiente, dando luogo a drammatiche conseguenze di cui già cominciamo a subire gli effetti. A fronte di questo nuovo e inedito scenario quali indicazioni utili possiamo cogliere dallo studio della preistoria? I giganteschi progressi tecnologici dell’età contemporanea hanno a lungo fatto dimenticare che le comunità umane hanno sempre dovuto misurarsi con le modificazioni naturali, pertanto, conoscere la storia di periodi in cui il rapporto con i fattori climatici e ambientali aveva un immediato riscontro sulla stessa sopravvivenza delle comunità aiuta ad avere una maggiore consapevolezza e a sviluppare un’etica del rapporto con le risorse maturali. Non c’è dubbio che le attuali condizioni del pianeta sul piano demografico e climatico necessitino di una risposta coordinata e globale, ma è altrettanto vero che accanto a fenomeni su vasta scala esistono situazioni differenziate in relazione ai diversi ecosistemi, e in questo senso ciò che sappiamo essere accaduto durante i tanti millenni occupati dalla preistoria può ampliare le cognizioni su quali risposte le comunità umane possono dare, aiutando a proporre risposte più consapevoli. Durante la preistoria e protostoria, la sfida era, come ora, quella di trovare soluzioni resilienti, anche innovando profondamente i propri sistemi economici. Oggi la sfida è quella di modificare gli ecosistemi senza provocare il loro collasso, condizione che necessita di cambiamenti nel nostro modello economico che tengano anche conto delle ripercussioni sociali e geopolitiche. Rispetto alle comunità della preistoria e protostoria abbiamo però conoscenze enormemente maggiori e capacità predittive molto avanzate. Dovremmo essere finalmente capaci di farne buon uso.

L’autore: Andrea Cardarelli, è presidente dell’Istituto italiano di Preistoria e protostoria di Firenze, professore ordinario di Preistoria e protostoria presso la Sapienza Università di Roma