In attesa dello sbarco alla Casa Bianca del tycoon e del suo entourage, ecco quali disastri si profilano all'orizzonte. In campo economico, ambientale, nei diritti umani e, non ultima, c'è pure l'incognita dell'uso dell'intelligenza artificiale generale

Molti interrogativi sulla presidenza Trump saranno sciolti solo a posteriori. Troppe le variabili in gioco, troppo alta l’imprevedibilità del personaggio, troppo oscura la struttura di potere che lo sostiene e che condiziona la politica del Paese. Alcuni dati di fondo è comunque utile richiamarli.
In primo luogo, certamente, la vittoria di Trump costituisce un passaggio decisivo che vede l’ordine neoliberale evolversi nel peggiore dei modi. Possiamo individuare un passaggio essenziale per quest’evoluzione nella grande crisi degli anni 2008-2011, quando i veli sono caduti. Mentre le fasce sociali più disagiate pagavano i costi della crisi in termini di posti di lavoro e di politiche di austerità, fiumi di danaro a bassissimo costo sono stati indirizzati al salvataggio di un sistema finanziario fallito, generando, nella sostanza, il socialismo per i ricchi e l’ordine di mercato per i poveri. Gli squilibri nella distribuzione della ricchezza hanno assunto dimensioni ancor più spropositate.
In quegli anni la cosiddetta sinistra, dall’amministrazione Obama ai socialisti e socialdemocratici europei, ha mancato di sottrarsi all’abbraccio con il neoliberismo morente, facendosi invece paladina di quell’ordine. L’ascesa di forze antisistema e di forze nazionaliste e fasciste, non può essere letta se non alla luce dell’erosione del consenso all’ordine neoliberale e della mancanza di sbocchi politici per la protesta sociale.
Le modalità con cui quella crisi finanziaria è stata affrontata ha generato un fenomeno a cui al tempo si è prestata poca attenzione. Infatti, mentre la finanza speculava con lo sguardo rivolto ai profitti nel brevissimo periodo, questi fiumi di liquidità a bassissimo costo venivano anche intercettati dai colossi del digitale. Così, oltre a far esplodere i valori dei titoli finanziari, della borsa, degli stipendi dei manager e dei fondi nei paradisi fiscali, questa disponibilità di danaro ha consentito alle grandi imprese tecnologiche di fare la loro scommessa: non sulla vendita di un determinato prodotto, ma sul controllo della società. Facebook, Amazon, Google, Microsoft, Apple, come anche tante altre società e piattaforme, hanno puntato sulla realizzazione e sul controllo di ecosistemi dove si mettono in comunicazione utenti e fornitori di beni e servizi, in cambio di un pagamento che può essere monetario, o avvenire con la cessione dei dati personali degli utilizzatori della rete.

Il nuovo modello di business ha modificato in profondità il funzionamento del capitalismo e le modalità di estrazione del profitto. Qui, infatti, non vi è né mercato né concorrenza, ma vi è un potere esercitato tramite il controllo di reti e infrastrutture che sono ormai indispensabili per una serie sempre più ampia di attività [cfr. Left, febbraio 2024, A. Ventura, L’unione dei diritti e i padroni (digitali)]. Queste tecnologie sono inoltre centrali ai fini del controllo delle classi politiche nei vari Paesi da parte del Paese egemone – gli Stati Uniti – dello spionaggio, della competitività industriale e della guerra. Il nuovo capitalismo, comunque, è ben radicato nelle oligarchie tradizionali: tre fondi di investimento (BlackRock, Vanguard e State Street) sono i principali azionisti di quasi il 90% delle società quotate a Wall Street, comprese quindi quelle tecnologiche.
Il passaggio che ha visto la crisi dell’ordine neoliberale, le modifiche strutturali del capitalismo e l’ascesa di forze antisistema orientate al recupero della sovranità nazionale, con venature razziste, xenofobe e talvolta chiaramente fasciste, ricorda il ciclo storico che si è svolto in Europa negli anni Venti e Trenta del secolo scorso come ricostruito da Karl Polanyi nel suo testo magistrale, La grande trasformazione. Nel volume l’ascesa del fascismo è ricondotta al crollo dell’utopia del mercato autoregolato, cioè dell’idea che il mercato possa essere il principio organizzativo dell’intera società. Bene o male la società reagisce quando i guasti prodotti dall’ordine liberale divengono evidenti. Questa rivolta sociale è un fatto che si impone alla politica: si tratta di vedere quali forze riescano ad intercettarla. Il disastro odierno (come quello di allora) deriva dal fatto che le forze del socialismo non sono in grado di farlo. Purtroppo, quello che si profila con la vittoria di Trump non è il superamento della mercificazione della società, ma la saldatura tra un capitalismo che sfrutta tecnologie avanzatissime e un autoritarismo volto a demolire quel che resta del precario equilibrio tra mercato e democrazia che ha caratterizzato il secondo dopoguerra. Dall’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021, al Project 2025, al movimento MAGA (Make American Great Again), assistiamo all’ascesa di un ultraricco che cavalca la protesta sociale e raccoglie consensi da ceti che dal partito repubblicano erano assai distanti, modificandone i connotati.

Vi è un ulteriore e inquietante aspetto che merita attenzione. Infatti, sull’onda di un presupposto duro a morire contro ogni intervento governativo che non sia a proprio vantaggio, una parte consistente degli imprenditori del settore tecnologico si è schierata dalla parte di Trump. L’argomento contro ogni regolamentazione del settore non verte solo sulla difesa del principio della libera iniziativa privata, ma sull’idea che siamo sulla soglia di radicali cambiamenti tecnologici che non è opportuno ostacolare. In particolare, gran parte della ricerca sull’intelligenza artificiale si pone l’obiettivo della realizzazione di una intelligenza artificiale generale (AGI) e ritiene che saremmo sul punto di conseguirla. Ogni rallentamento verso quest’obiettivo avrebbe costi sociali incalcolabili. Infatti, a differenza dei modelli di IA attualmente in uso, che riescono con enorme successo a svolgere compiti specifici (gioco degli scacchi, del Go, traduzioni, simulazioni, soluzioni di problemi matematici e statistici utili a diverse discipline e quant’altro), la AGI, come la mente umana, sarebbe capace di affrontare qualsiasi problema gli venga posto.
Nella sostanza, una volta assimilato il pensiero umano alla razionalità e alla capacità di calcolo, e posta la convinzione diffusa secondo la quale le macchine possano riprodurlo, ne segue che, per la mole di informazioni a cui una macchina può accedere, la AGI sarebbe in grado di superare gli esseri umani anche nella programmazione delle macchine stesse, migliorandole in misura esponenziale. Questa esplosione dell’intelligenza, detta “singolarità”, risolverebbe tutti i problemi che noi umani non siamo in grado di affrontare, da quello dell’ambiente a quello della morte, fino prospettare la colonizzazione di altri mondi, forse non col nostro corpo ma grazie a supporti in grado di diffondersi nell’universo. Dunque prima raggiungiamo l’AGI e meglio è per tutti.

Coloro che, fiduciosi in queste fantasmagoriche prospettive, scelgono di crioconservare il proprio corpo – oppure solo la propria testa per risparmiare qualcosa– in attesa che la scienza possa recuperare la loro coscienza e caricarla su una macchina per l’eternità ci interessano poco. Sono deliri, certo, ma questi e tanti altri deliri che circolano negli ambienti della Silicon Valley hanno effetti sul nostro presente. Anzitutto indirizzare fondi ingentissimi verso l’obiettivo della post-umanità distoglie risorse ed energie da compiti più utili e realistici, quali quelli di sviluppare programmi meno energivori e più controllabili nei dati che utilizzano e nei risultati che offrono. In secondo luogo, come è stato osservato, queste filosofie trans-umanistiche si ricollegano a vecchie idee razziali che, tramite l’eugenetica, proponevano la realizzazione di una razza superiore in grado di dominare il mondo nei millenni a venire. Queste utopie portano anche al disinteresse verso problemi urgenti dell’oggi (clima, inquinamento, discriminazioni, ingiustizie, povertà, rapporti di potere squilibrati), sacrificati invece per la corsa verso un’AGI che, contrariamente a noi umani, sarebbe in grado di risolverli tutti in maniera efficace.
Bostrom, Thiel, Musk, Altman, Page, Kurzweil e tanti altri ingegneri, filosofi, magnati e miliardari, pur nelle vivaci polemiche che li dividono su numerose questioni specifiche, sono troppo spesso preda di visioni ipertecnologiche condite da ideologie razziali e disumane, sostenute da una onnipotenza che ci prospetta un mondo da incubo. Elon Musk è scettico nei confronti della singolarità, ma ritiene che sia possibile migliorare nostre le capacità cognitive inserendo dei chip nel cervello, realizzando per questa via una post-umanità dove l’intelligenza umana è fusa con quella artificiale. La società da lui fondata, Neuralink, ha questo come missione aziendale. La foto del razzo lanciato nello spazio postato sulla sua piattaforma X in occasione della vittoria di Trump indica non solo che egli farà affari con le commesse spaziali del Pentagono, ma suggerisce anche che questa nuova classe tecno-capitalista pensa di inaugurare una fase nuova per l’umanità.
Tornando a Trump, l’eterogenea composizione delle forze che lo sostengono difficilmente può comporre un programma politico coerente per il governo del Paese. Disastri invece, purtroppo, essa ne può generare: dalla semplicistica soluzione dei problemi economici con la riduzione delle tasse, l’eliminazione dei servizi sociali e i dazi alle importazioni, alla facile costruzione del nemico nell’immigrato, alla promessa della pace in Ucraina in 24 ore, alla negazione degli incombenti cambiamenti climatici, all’utopia di una AGI in grado di resuscitare i morti e colonizzare l’universo, la principale vittima di questa fase storica sembra essere il rapporto con la realtà.

L’autore: Già docente di economia politica, Andrea ventura è autore di numerosi saggi, fra i quali Il flagello del neoliberismo (L’Asino d’oro edizioni). Per la stessa casa editrice ha curato il saggio Pensiero umano e intelligenza artificiale

Nella foto: Elon Musk e Donald Trump, 16 novembre 2024