L’identità senza parola. Origine e sviluppo del linguaggio è il nuovo libro di Federico Masini, sinologo e professore di lingua e letteratura cinese alla Sapienza di Roma, uscito per i tipi de L’Asino d’oro. Già dal titolo il volume si prospetta come un’opera di rottura nell’ambito degli studi linguistici, paleoantropologici, filosofici e psicologici in quanto propone che le origini e gli sviluppi del linguaggio (parlato e scritto) non possano essere studiati e capiti se non si considerano, si studiano e si mettono a fuoco i primi due – tre anni di vita del bambino, quando non parla e si muove nel mondo soltanto con il corpo, la sensibilità e un “pensiero per immagini”. Masini decide dunque con quest’opera di rompere un tabù, un diktat che fin dalla metà dell’Ottocento ha dominato in modo più o meno silente nel mondo della linguistica: studiare e comprendere le origini del linguaggio, avvolte da una tale nebbia che avvicinarsi significava varcare le “Colonne d’Ercole” della conoscenza e oltraggiare ciò che soltanto i religiosi potevano credere di sapere. E il sinologo lo fa consapevole di avere tra le proprie mani uno “strumento” speciale, la teoria della nascita dello psichiatra Massimo Fagioli, una sorta di caravella, che lo farà navigare in un mare fino ad ora inesplorato. Possiamo affermare che Identità senza parola rappresenta il primo tentativo di estendere la teoria della nascita dall’ambito della psichiatria a un altro ambito di ricerca: quello della linguistica. «Il mio tentativo di trovare nella teoria della nascita, elaborata da Fagioli oltre cinquant’anni fa, risposte nuove sull’origine del linguaggio e della scrittura potrà suscitare critiche o obiezioni… me ne prendo la responsabilità» scrive Masini nella sua Introduzione. Affermazione coraggiosa che rivela la consapevolezza di andare a scardinare secoli di certezze accumulate nell’ambito della filogenesi e della ontogenesi che hanno sempre considerato l’essere umano tale perché in grado di parlare e di possedere il pensiero razionale, escludendo tutti coloro che razionali non lo sono ancora o che lo saranno meno di altri.
L’innatismo e il comportamentismo – le due teorie che si sono fronteggiate con ipotesi opposte sull’origine del linguaggio – vengono spazzate via da Masini. Chomsky – esponente principale della prima – ipotizza la nascita del linguaggio all’improvviso, 50 – 100 mila anni fa, senza però che sia mai stata trovata una funzione precipua del cervello addetta alla disposizione linguistica; Wittgenstein, d’altronde, aveva relegato l’apprendimento del linguaggio al solo uso e alle sue regole. Entrambi gli studiosi, però, definiscono il bambino come tavoletta di cera, del tutto inattivo, e considerano i suoi primi tre anni di vita soltanto come una lunghissima fase silente pre-verbale e pre-razionale non del tutto ancora umana. Al contrario, la teoria di Fagioli assegna al bambino fin dalla nascita un’attività psichica, nata quando il piccolo, venendo alla luce, fa sparire, con la chiusura degli occhi, il mondo intorno a sé ed elabora quella prima immagine che sarà all’origine del pensiero, del linguaggio e, aggiunge l’autore nel quinto e dirimente ultimo capitolo del volume, della scrittura.
«Il pensiero nasce come immagine prima della parola»: l’esergo dell’introduzione del volume è il vascello su cui iniziare a navigare lungo tutti e cinque i capitoli che, attraverso una scrittura fluida e limpida, ci trasportano lungo un pensiero che si fa ricerca e che ci conduce al termine rendendoci protagonisti di una deduzione che l’autore sembra fare con i lettori. La scrittura nasce per fermare e fissare il suono della voce che svanirebbe nel momento in cui viene pronunciata, ma non solo: essa nasce anche per evocare nella mente di chi parla e di chi ascolta delle immagini, le quali poi andranno a posarsi sulle cose significate. Ma da dove viene quella linea che è alla base di tutte le scritture del mondo? Si chiede l’autore e, per rispondere, attinge alla scoperta di Fagioli che lega la “fantasia di sparizione”, che il bambino compie alla nascita contro il mondo, con la reazione biologica che il cervello attua nel contatto con la luce, e vi connette la formazione della linea. «La linea trarrebbe la sua origine da quella prima reazione al mondo inanimato e precede di qualche secondo il vagito umano», linea che, successivamente, verrà riprodotta dal bambino quando impugnerà la matita prima per scarabocchiare e disegnare e poi per scrivere. Un’immagine rivoluzionaria che mette in crisi e spodesta quella iniziale del noto film 2001 Odissea nello spazio di Stanley Kubrick e che ci fa dire che l’umano nasce non quando afferra un oggetto contundente per uccidere un altro essere vivente, ma quando, con un bastoncino, un pezzo di selce… disegna sé stesso e i propri simili sulle pareti di una grotta o su manufatti di argilla.
«intendiamo qui suggerire che lo sviluppo delle capacità della mano trovi nella “possibilità di fare la linea” da parte della specie sapiens un impiego esclusivo, che ha contribuito a caratterizzarci rispetto a tutte le altre specie». Come i primi due anni di vita del bambino, fatti di suoni e voci udite, rappresentano il tessuto con cui ciascuno di noi trasformerà il vagito della nascita in voce e linguaggio parlato, così i primi tre anni di linee e scarabocchi, costituiscono le “prove tecniche” di quella che diverrà la scrittura, quel tratto assolutamente originale che indicherà l’identità di ciascuno di noi e che non potrà mai essere sostituita o emulata da alcuna Intelligenza artificiale, utile solo per comunicare significati nel rapporto dell’uomo con il mondo, ma non per esprimere il senso nel rapporto degli esseri umani fra di loro. Questi tre anni sì silenziosi ma ben attivi del bambino preparano alle fasi successive del parlare, del disegnare e infine dello scrivere. Così come mai nessun bambino ha scritto prima dei 5-6 anni di vita, così i nostri antenati hanno atteso un tempo lunghissimo per trasformare le proprie culture dalla sola oralità alla scrittura e passare quindi alla storia.
Masini sottolinea come nella storia la scrittura sia stata sempre strumento al servizio del potere e dei potenti perché con l’uso di essa si entra nel mondo degli adulti, un mondo che si è sempre pensato e raccontato come scisso e opposto al mondo delle immagini dell’infanzia, dei sogni, escludendoli come non-pensiero; ridare loro vita significa far diventare donne e bambini i “veri motori della storia”. Riconoscerli significa restituire quella specificità umana fondata sul rapporto con gli altri, sulle immagini, sulla fantasia. «Le lingue sono “umane”, non sono razziste e non fanno mai guerra, si prestano e si regalano tutto senza mai chiedere nulla in cambio», scrive l’autore … In un’epoca come quella di oggi in cui da più parti si afferma che violenza, guerre e soprusi fanno parte della nostra natura, diviene urgente e liberatorio leggere questo libro che ci parla di altre origini e ci restituisce speranza.
Verrà un giorno in cui non i filosofi ma i poeti saranno i narratori della storia degli esseri umani.
L’autrice: Elisabetta Amalfitano, docente di liceo, è autrice di saggi tra cui Controstoria della ragione. Il grande inganno del pensiero occidentale (L’Asino d’oro edizioni)