Una vera opposizione, ampia e popolare, non può che partire da qui: dalla difesa e dal rilancio della sanità pubblica e universalistica, asse democratico di coesione sociale, imprescindibile perché basato sull’uguaglianza.

Abbiamo scelto di destinare alla sanità stanziamenti record, portando nel 2025 il Fondo sanitario nazionale a 136,5 miliardi di euro e ad una spesa pro-capite di 2.317 euro», ha detto la presidente del Consiglio Meloni. Aggiungendo elogi alla «detassazione delle retribuzioni per le prestazioni aggiuntive che servono ad abbattere i tempi delle liste d’attesa». La propaganda impera dalle parti di Palazzo Chigi. Purtroppo la verità è un’altra. In proporzione al Pil il governo di centrodestra ha ridotto l’investimento sulla sanità. E, nonostante promesse e decreti, le liste d’attesa per visite e accertamenti sono lunghissime e prevedono tempi ciclopici. Tanto che ormai, come documenta la Fondazione Gimbe, sono 4 milioni e mezzo gli italiani che rinunciano a curarsi, e più di 2,5 milioni rinunciano per ragioni economiche perché l’unica alternativa è rivolgersi a strutture private. Da questo dato di realtà siamo partiti per fare un lungo viaggio nella sanità in Italia rivolgendoci alle voci più competenti sul campo, tra cui studiosi come Nino Cartabellotta, presidente di Gimbe, e sindacalisti come Andrea Filippi, segretario nazionale della Fp Cgil medici e dirigenti Ssn. E abbiamo chiesto ai responsabili Sanità delle principali forze di sinistra presenti in Parlamento una disamina critica della politica del governo Meloni, chiamandoli ad avanzare concrete proposte.

Una vera opposizione, ampia e popolare, non può che partire da qui: dalla difesa e dal rilancio della sanità pubblica e universalistica, asse democratico di coesione sociale, imprescindibile perché basato sull’uguaglianza. La lezione della pandemia è stata durissima e chiara: senza investimenti sulla medicina territoriale, senza investimenti sul personale e sulla ricerca è impossibile affrontare emergenze pandemiche che potrebbero riproporsi. Ma quei medici e quegli infermieri che avevamo chiamato eroi quando erano in prima linea per salvare vite umane oggi sono dimenticati dal governo e dalla maggioranza, che invece di sostenere e promuovere chi ha lavorato giorno e notte per campagne di vaccinazione di massa pensa di togliere le multe ai no vax e mette in piedi una Commissione Covid chiamando a “testimoniare” contro le misure adottate in quei due anni difficilissimi una sequela di improbabili personaggi e di incompetenti. Sono tantissimi ormai i medici che, massacrati da impossibili turni di lavoro, lasciano il servizio pubblico. E moltissimi sono i giovani medici, infermieri e ricercatori costretti a trasferirsi all’estero perché altrove la loro identità professionale è maggiormente riconosciuta ed è adeguatamente remunerata. Il governo di destra non fa nulla per arginare questa emorragia. Anzi, appoggia e accelera una privatizzazione che avanza a passi da gigante, come documenta su questo numero il docente della Sapienza Ferdinando Terranova. La ricetta della destra è sempre la stessa: si svuotano i servizi pubblici, si depauperano di fondi e competenze per poi poter dire che il pubblico non funziona e va privatizzato. Beninteso non è un meccanismo nato ora. Il definanziamento della sanità pubblica, purtroppo, va avanti da tempo. Basti dire che negli ultimi quindici anni le sono stati tolti 37 miliardi. Oggi con il ministro della Sanità Schillaci – campione per assenza – abbiamo però toccato lo zenit. Nella Finanziaria hanno previsto solo 2,5 miliardi per la Sanità, quando lo stesso ministro ne chiedeva almeno 5. (Intanto se ne investono almeno 12 sul Ponte di Messina e la spesa militare è di 32 miliardi).

Ma dobbiamo essere onesti e dirla tutta: anche se miracolosamente il governo riprendesse ad investire in sanità (cosa che non è, e anzi pensa a distruggere il diritto universale di accesso alle cure con l’autonomia differenziata) si rischierebbe di finanziare un sistema attuale incardinato sul modello neoliberista basato sulle “Asl azienda”, che hanno come mission il profitto e che non rispondono ai bisogni e alle esigenze dei cittadini perché trattano la salute come se fosse una merce. Perciò torniamo a ribadire che per salvare un bene comune inestimabile come il servizio sanitario pubblico serve un radicale cambiamento culturale e di politica sanitaria sul territorio. E solo una sinistra con una più complessa visione dell’essere umano (senza scissione fra realtà psichica e fisica per dirla in estrema sintesi), che metta al centro la lotta alle disuguaglianze, può compiere questa rivoluzione. Ricreando e rilanciando la democratizzazione sottesa alla legge 833 che soppresse il sistema mutualistico e istituì il Ssn nel 1978, in quel fondamentale decennio dei diritti che furono (nonostante tutto) gli anni Settanta punteggiati da conquiste come lo Statuto dei lavoratori, il divorzio e – come ci ricordano Enzo Ciconte, Benedetta Tobagi e Paola Agosti su questo Left – contrassegnati da leggi che puntavano alla abolizione del patriarcato: un retaggio granitico e violento, che (almeno) sul piano giuridico è stato sconfitto con la riforma dello Statuto di famiglia e istituendo 50 anni fa (con la legge 405/19) i consultori come servizi di base a tutela della salute della donna, del bambino e della coppia e della famiglia. Questi fondamentali presidi pubblici, essenziali per promuovere la contraccezione e che potrebbero essere anche utili presidi per l’aborto farmacologico, sono invece depotenziati dal governo Meloni e resi terreno di propaganda religiosa e confessionale ad uso di associazioni anti abortiste e contro i diritti delle donne. Anche da qui, dalla difesa e dal rilancio della rete territoriale dei consultori, contro chi ancora accusa le donne che decidono di abortire di essere delle assassine, potrebbe ripartire una coalizione di sinistra che avesse ben chiaro che senza il pieno riconoscimento dell’identità e delle donne non ci può essere democrazia degna di questo nome. Ma per farlo ci vuole una concezione nuova dell’idea stessa di salute, che non è solo salute fisica ma anche psichica. Per questo, tornando a porre al centro il tema della sanità rilanciamo la battaglia dei giovanissimi che, con sensibilità e consapevolezza nuove, chiedono più attenzione alla salute mentale a scuola e non solo. Perciò torniamo a parlare dell’importanza dell’ampliamento della rete territoriale dei centri di salute mentale e della battaglia per la psicoterapia nei presidi pubblici, contro le politiche dei bonus – inefficaci e controproducenti – cavallo di battaglia (di retroguardia) del governo Meloni.

In apertura, disegno di Marilena Nardi