Alle storie tragiche di Stefano Cucchi, Giulio Regeni, Ilaria Alpi e tante altri è dedicato il nuovo lavoro, fra musica e parole, del giornalista di Rai news. Il 16 lo presenta a Maranello

Stefano Corradino è un giornalista fortemente impegnato in ambito sociale e nella difesa dei diritti umani, inviato di Rainews24, dal 2005 è anche direttore di Articolo21.org, associazione che lotta per la libertà di informazione e di espressione.
Ma Stefano, oltre che grande appassionato di musica, è anche musicista e cantautore, e, grazie ad un progetto di crowdfunding, è riuscito nell’impresa di incidere un disco, Note di Cronaca – Sette storie vere in musica, nel quale ha trasferito alcune delle sue più significative ed emozionanti esperienze di cronista in forma poetica di canzone.
Il suo recente libro con il medesimo titolo – “Note di Cronaca” (Villaggio Maori Edizioni) – va idealmente a completare il progetto di coniugare cronaca ed elaborazione artistica, laddove Stefano, dopo aver trasformato in canzoni alcune storie vere narrate in negli ultimi dieci anni di servizi televisivi, nel libro racconta la genesi del progetto, soffermandosi ed approfondendo le storie, spesso dure, di mafia, di guerra, di immigrazione, di diritti umani negati, e anche di morti sul lavoro di cui è stato testimone in prima linea.
I protagonisti di queste vicende sono spesso e soprattutto donne, come le giornaliste Ilaria Alpi e Federica Angeli, o come Ilaria Cucchi, sorella di Stefano Cucchi.
Ma nel libro ci sono tante altre storie che il giornalista ha raccontato nei suoi servizi. Come le tragiche vicende di Giulio Regeni, ma anche quelle meno note di Mario Paciolla e Andy Rocchelli. In occasione del suo nuovo tour di presentazioni che parte il 16 marzo, gli abbiamo rivolto qualche domanda.
Stefano, come sono nati i due progetti – libro e disco – e qual è stata la spinta emotiva che li ha messi in moto?
Come spiego nella premessa, nasce dall’esigenza di riuscire a fondere le due anime che convivono in me, da una parte la realizzazione professionale come cronista, e dall’altra il mio amore per la musica, coltivato fin da bambino. Devo dire che da giovane, per un certo periodo ho accarezzato l’idea di dedicarmi totalmente alla musica come occupazione principale, poi, col passare del tempo è rimasta l’ambizione di dare forma a qualcosa che fosse molto più concreto di semplice un hobby personale. L’ispirazione mi è venuto durante il periodo del Covid, nel marzo del 2020, quando, tornando in macchina dalle Marche, dopo la morte di Giorgio Sacrofani, un soccorritore fulminato dal contagio, ho pensato di scrivere una canzone dedicata al sacrificio di tutto il personale sanitario che in quel periodo drammatico era impegnato “a mani nude” e con turni massacranti a fronteggiare un’emergenza mai vista, e che oggi ci stiamo quasi dimenticando. Nacque così “Contagiò”, la prima canzone del disco, a partire dalla quale, piano piano, partendo dalla mia esperienza di cronista, ho cominciato a focalizzare i temi da trattare e conseguentemente a trasformarli in altrettante canzoni.

È stato più difficile realizzare il disco o pubblicare il libro?
Sicuramente molto più difficile la realizzazione del disco, che oltretutto ho preteso venisse stampato proprio in vinile, formato a cui resto particolarmente affezionato. Pur essendo da anni lontano dal circuito musicale mi sono presentato e proposto a diverse case discografiche senza alcun riscontro concreto, finché ho ricontattato un amico musicista di Orvieto, Stefano Profeta, che con la sua l’etichetta “Carpe Diem” ha creduto nel progetto.
A quel punto servivano le risorse per realizzare ed editare professionalmente il lavoro, e alla fine l’ho risolto tramite un crowdfunding che quasi inaspettatamente ha raccolto quattordicimila euro mi ha permesso di finanziare il progetto. La ciliegina sulla torta è stata il bellissimo disegno di copertina di Mauro Biani, che considero come un collega, un autentico “cronista per immagini”.

 Visto che sei un giornalista ci si sarebbe aspettato che uscisse prima il libro e poi il disco, e non viceversa?
In realtà è stata proprio la casa editrice – Villaggio Maori Edizioni di Palermo – che mi ha suggerito di ricucire e ricollegare tutto il lavoro mettendo a fuoco gli argomenti, ripartendo dalle sette canzoni che avevo scritto, riportandole in altrettanti capitoli del libro, ognuno dei quali è commentato ed arricchito dalle interviste a sette autorevoli personaggi: Giovanna Botteri, Nando dalla Chiesa, Bruno Giordano, Mamadou Kouassi Pli Adama, Dacia Maraini, Riccardo Noury, Antonella Viola. In chiusura ho voluto riportare il racconto della fortunosa “Intervista (im)possibile” fatta a Londra a Bob Geldof nell’ormai lontano 2006.

Dal punto di vista musicale quali sono stati i tuoi riferimenti?
Da grande appassionato di musica sono sempre stato affascinato dai grandi cantautori italiani – la grande “scuola genovese” di Lauzi, Tenco, Paoli, Fossati etc. – ma anche francesi, e dal Rock anglo-americano, a partire da Bruce Springsteen.
In questo caso, trattandosi di storie quasi sempre drammatiche, se non tragiche, il nesso immediato è con il grande Fabrizio De Andrè ed il suo celebre capolavoro “Non al Denaro, né all’Amore né al Cielo”, basato sull’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters.
Certamente “Sulla Nostra Pelle” – la canzone in cui racconto la storia di Stefano Cucchi – rimanda immediatamente a Spoon River – che ho voluto appositamente citare a chiusura del capitolo a lui dedicato. «Non mi uccise la sorte, ma due guardie bigotte: mi cercarono l’anima a forza di botte» (Fabrizio De André, dal brano “Il blasfemo”). Voglio però sottolineare come in ogni capitolo, accanto ciascuna storia tragica, ho voluto mantenere un filo di speranza, una luce in fondo al buio, che è rappresentata dal coraggio e dalla determinazione dei sopravvissuti, che, come Ilaria Cucchi, non si sono mai arresi ed hanno voluto perseguire la verità con tutte le proprie forze.

Qual è stata la storia più importante dal punto di vista emotivo e del tuo coinvolgimento personale?
Tra tutte ne citerei due. La prima, e forse la più straziante, è quella Yaya Sangare che ho raccontato ne “La Nave della Speranza”. L’ho incontrato nel 2017 a Napoli in riva al mare. La sua storia è la stessa di migliaia di persone. In Costa d’Avorio c’era la guerra e Yaya decise di scappare con tutta la sua famiglia. Arrivò in Mali, proseguì per l’Algeria. Poi la decisione di venire in Europa. È l’ottobre 2017. Yaya e la sua famiglia si imbarcarono sul malfermo gommone di uno scafista, stracarico di persone. A metà traversata il gommone si inabissò trascinando con sé la moglie, il fratello e tre dei suoi quattro figli. Nessuno di loro riemerse dalle acque. Si salvò solo Deborah, la sua figlia più piccola, che durante l’intervista continuava a giocare sulla spiaggia. Yaya scrutava l’orizzonte commuovendosi: «Ogni volta che guardo il mare li vedo». L’altra è quella di Marianna Viscardi, la madre di Lisa Picozzi, giovane ingegnere morta sul lavoro, cadendo da un solaio di copertura durante un sopralluogo in cantiere. L’ho incontrata nel 2017, a casa sua dove in salotto mi fece vedere alcuni libri fotografici. Ma non c’erano le foto di Lisa, della sua infanzia, del suo lavoro, o della sua passione per la pallavolo. Marianna in quei libroni ci conservava uno per uno i ritagli degli articoli sulla morte di Lisa e sull’inchiesta scaturita dopo la sua morte. Dopo i vari gradi di giudizio i titolari dell’azienda furono tutti assolti, oppure non scontarono mai la pena. «Come posso credere nella giustizia? – fu il commento di Marianna – da questo punto al luogo dove Lisa riposa sono centodue passi, li ho contati».
“102 Passi” è il titolo che ho scelto di dare alla canzone e al capitolo dedicato a Lisa.

Hai deciso di devolvere i proventi della vendita del disco ad Amnesty International?
In effetti, una volta coperte le spese, ho deciso che una parte del ricavato dalla vendita dei dischi andrà ad Amnesty International. Ho pensato a varie organizzazioni, da Emergency a Unicef, da Save the Children ad Action Aid, ma ho trovato in Amnesty e nelle sue battaglie internazionali quella che più si lega al filo conduttore del mio lavoro: i diritti umani negati.

Tutto questo si ricollega anche al tuo impegno civile ed al tuo ruolo di direttore di Articolo 21.org?
Articolo21 è un’associazione nata nel 2002, per la libertà di informazione e di espressione che si ispira al medesimo articolo della Costituzione. Mi onoro di esserne membro fin dalla sua fondazione e dirigo il sito di Articolo21.org dal 2005. L’Associazione porta avanti la sua battaglia quotidiana contro le censure, i bavagli, le intimidazioni, denunciando i condizionamenti governativi dell’informazione, ed è composta non solo da giornalisti ma anche da scrittori, registi, attori, musicisti, attivisti nel sociale. Si impegna inoltre a tenere accesi i riflettori su tutte quelle vicende di casi ancora irrisolti che rischiano di cadere nel dimenticatoio, come quello di Andrea Rocchelli, fotoreporter di Pavia ucciso in Donbass nel 2014, o quella di Mario Paciolla, cooperante, attivista e volontario, la cui morte nel 2020 in Colombia è stata sbrigativamente classificata come suicidio, senza dimenticare Alberto Trentini, tuttora detenuto in Venezuela con capi d’accusa del tutto generici e di cui purtroppo si parla ancora pochissimo.

Stefano Corradino in tour presenta il suo lavoro il 16 marzo a Maranello. il 26 marzo a Fusignano . E ancora il 4 aprile a Crotone, il 14 a Napoli,  il 16 aprile a Castelnuovo Vomano,  il 2 maggio a Trieste, il 17 maggio. a Città della Pieve, il 28 giugno a Fano

Cover illustrata da Mauro Biani

L’autore: Roberto Biasco è critico musicale e collaboratore di Left