«Non è festa» scrisse Almirante sul Secolo d’Italia dieci anni dopo il 25 aprile 1945. E oggi gli eredi politici del repubblichino e fondatore del Msi la pensano ancora allo stesso modo e con la stessa acrimonia

Ottant’anni fa, il 25 aprile 1945, il proclama del Comitato di liberazione nazionale alta Italia (Clnai) e il manifesto del giorno dopo con il quale assumeva il governo legale «in nome del popolo e dei volontari della libertà» - firmato da Luigi Longo ed Emilio Sereni per il Pci, da Ferruccio Parri e Leo Valiani per il Partito d’azione, da Achille Marazza e Alcide De Gasperi per la Dc, da Giustino Arpesani e Filippo Jacini per il Pli, da Rodolfo Morandi e Sandro Pertini per il Psiup - incitavano all’insurrezione nazionale nei territori ancora occupati dai nazifascisti ordinando a tutte le formazioni partigiane di attaccare i fascisti e i tedeschi. Era il momento tanto atteso, la giornata culminante di una guerra cruenta contro i nazisti e i fascisti. La Resistenza ebbe il suo culmine nelle giornate di aprile che portarono alla Liberazione dell’Italia. Il 25 aprile 1945 unì tutte le forze antifasciste e fu un emblema così potente della Liberazione che, sin dal primo anniversario, la giornata del 25 aprile fu proclamata festa nazionale, festa della Liberazione. Fu un tornante storico di grande importanza.

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