Negli Usa Harvard ha detto no. Un no che pesa più di tutti i sì silenziosi raccolti negli ultimi mesi nei campus statunitensi. Un no che suona come un avvertimento: il pensiero critico non si baratta per un assegno, nemmeno da 2,2 miliardi di dollari.
Il rifiuto di piegarsi ai diktat di un’amministrazione che, nel nome di una presunta “lotta all’antisemitismo”, chiede l’eliminazione di politiche per l’equità e l’espulsione di studenti dissenzienti, non è solo un atto accademico. È un gesto politico. Un gesto che arriva dopo mesi di purghe nelle università, con centinaia di visti revocati e studenti stranieri arrestati come nemici interni, colpevoli di avere opinioni. L’università di Columbia ha chinato la testa, cancellando corsi e carriere. Harvard no.
Non si tratta solo di difendere i campus. La battaglia in corso tocca le fondamenta stesse della democrazia americana. Il piano MAGA non nasconde più nulla: decostruire l’università, spogliarla di ogni capacità critica, trasformarla in un’agenzia governativa del pensiero unico. Usare la leva dei fondi per installare il terrore tra presidi e rettori. Altro che “woke”: è vendetta, razzismo, repressione.
Il silenzio di molti rende il coraggio dei pochi ancora più evidente. Come ricorda Obama, “l’indagine intellettuale, il mutuo rispetto e il dibattito rigoroso” non sono un lusso, ma il minimo sindacale in un paese che voglia ancora definirsi libero.
Harvard non ha salvato l’America ma ha rispettato se stessa. Chissà se nel loro piccolo qui da noi vi saranno scuole che faranno argine.
Buona mercoledì.