Il governo italiano, secondo Citizen Lab, ha gli strumenti per sapere chi ha spiato chi. E allora perché tace?

È strano come, in Italia, lo spionaggio politico sembri fare meno scandalo delle intercettazioni su un trafficante. Eppure in mezzo ci sono preti, attivisti, armatori e un direttore di testata. Le vittime non sono comparse ma coscienze scomode. E chi dovrebbe chiedere chiarezza, balbetta.

Il governo italiano, secondo Citizen Lab, ha gli strumenti per sapere chi ha spiato chi. E allora perché tace? Perché quando si pronuncia la parola Paragon – che è la nuova Echelon, ma con meno pudore – da Palazzo Chigi si distolgono gli occhi? L’Aise ha spiato Mediterranea, questo è certo. Cancellato no, almeno ufficialmente. Ma allora chi?

Intanto a Bruxelles, dove il Parlamento europeo avrebbe dovuto ascoltare Casarini e don Ferrari, le destre hanno fatto saltare tutto. “Troppo italiano”, hanno detto. Come se la democrazia avesse bisogno di passaporto. Il 23 aprile gli attivisti saranno comunque lì, fuori, in piazza. Dentro, invece, le istituzioni giocano a rimpiattino. Non per difendere la sicurezza nazionale ma per proteggere la propria opacità.

Se l’abuso non scandalizza più, è perché l’abuso è diventato regola. Chi governa deve dire se ha ordinato lo spionaggio. O se ha permesso che altri lo facessero. Il resto è omertà. E un Paese che accetta lo spionaggio politico come normalità ha già smesso di essere democratico.

A meno che il vero scandalo non sia proprio questo: considerare un sacerdote e un giornalista liberi come una minaccia. E non chi li ha messi sotto sorveglianza.

Buon giovedì.