Per la prima volta nella storia italiana il 2 giugno 1946 il paese sceglieva con referendum istituzionale tra Monarchia o Repubblica ed eleggeva l’Assemblea costituente per redigere la Costituzione.
Quel 2 giugno le donne assunsero la dignità politica. Il 10 dicembre 1945 erano state già chiamate al voto per le elezioni amministrative, ma non potevano candidarsi. Finalmente quel 2 giugno potevano essere anche elette.
In ventuno entrarono nell’Assemblea Costituente. Erano le madri costituenti, con un ruolo importantissimo anche in funzione anti patriarcato.
La Repubblica democratica era la grande svolta da concretizzare. E la Costituzione ne doveva essere la stella polare. E a questo e per questo l’assemblea lavorò dal giugno del 1946 alla fine del dicembre 1947.
Ne scaturiva una Costituzione rivoluzionaria nel porre principi e garanzie di democrazia, guardando al futuro della tenuta democratica e alla sua pratica attuativa.
Antagonismi e contrapposizioni non mancavano, ma la Costituente sentiva il peso della grande svolta rifondatrice da compiere e i suoi componenti seppero trasfondere nel dettato costituzionale il miglior progressismo delle loro stesse correnti politiche di appartenenza.
Così, ad esempio, sono le idee di Gramsci e non quelle della dittatura del proletariato a prevalere.
Al liberalismo cultore dello status quo borghese, subentra il prospettivismo politico della democrazia liberale e della questione morale di Amendola e Gobetti e quello del socialismo liberale di Carlo Rosselli.
Allo stantio cattolicesimo del dogmatismo papista subentra l’istanza sociale predicata da Luigi Sturzo. Tutti personaggi non a caso antifascisti e alcuni di essi assassinati dai fascisti.
La visione laica della repubblica prendeva forza grazie ad esponenti di forze minoritarie, ma di grande spessore politico-culturale come Calamandrei, Parri, La Malfa. Che dettero filo da torcere opponendosi tenacemente con i socialisti e alcuni liberali alla presenza in Costituzione del Concordato con la Chiesa cattolica (Art.7) fortemente voluta da De Gasperi e passata grazie ai voti dei comunisti, con l’eccezione di Teresa Noce (protagonista di primo piano nella lotta clandestina antifascista) che disse No all’ordine di scuderia dell’ultimo momento del capo partito Togliatti.
Quel Concordato che ancora ci trasciniamo, e su cui si è dovuta pronunciare la Corte Costituzionale con diverse sentenze in nome del «supremo principio della laicità dello Stato», affermando che esso è solo menzionato dalla Costituzione repubblicana e che di essa non è assolutamente parte integrante. E che pertanto anche le norme concordatarie sono subordinate al fatto che lo Stato italiano non è confessionale.
La Corte Costituzionale è un fatto del tutto nuovo: una rivoluzione l’averla prevista.
Essa costituisce infatti il supremo organo giurisdizionale per la tutela e affermazione della “Costituzione materiale” (come si usa dire). E in questa prospettiva, non solo interviene ad annullare leggi o parti di esse che violano il dettato costituzionale, ma ne salvaguarda anche le prospettive di impegno costituzionale.
E non è un caso, che in diverse sentenze questa Corte abbia ribadito che «La Costituzione italiana contiene alcuni principi supremi che non possono essere sovvertiti o modificati nel loro contenuto essenziale neppure da leggi di revisione costituzionale o da altre leggi costituzionali» (come ad esempio si legge nella sentenza 1146/1988).
La Suprema Corte è quindi baluardo di orientamento preventivo della legalità costituzionale anche di là dal caso specifico per cui è stato chiesto il suo intervento.
Una visione prospettica a conferma dell’altezza scrupolosità lungimiranza dei costituenti nel delineare quel che l’Italia sarebbe dovuta essere nella costruzione quotidiana della civile convivenza democratica nelle garanzie di laicità, eguaglianza, solidarietà.
Un’Italia che guardava al futuro. Un’Italia della pratica democratica in cui coinvolgere abbracciare far crescere ognuno. E per questo costruita sulla centralità del cittadino nella sua individualità di essere umano per l’affermazione della sua dignità individuale e sociale.
Questo l’architrave della rivoluzione costituzionale repubblicana su cui si snoda la sua intera sua architettura.
Ecco allora perché la nostra Costituzione pone la dignità senza alcuna distinzione individuale e sociale in corrispondenza dell’uguaglianza. E chiama a rimuovere gli ostacoli che siano ad essa di impedimento, come recita l’art.3: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese».
Un articolo questo, che potremmo definire il motore della pratica costituzionale, nell’individuare le disuguaglianze e nell’impegno a spazzarle via. Non è un compito solo dello Stato ma della repubblica nella sua totalità.
L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro (art.1), è l’incipit della nostra Costituzione e impegna lo Stato a creare le condizioni che lo rendano effettivo in tutela, qualità, retribuzione, elevazione professionale (Art.li 35-38). Quindi fattore di promozione individuale e sociale nell’attenzione alla individuale «possibilità e scelta» (Art.4). Sottolineando così come il lavoro rappresenti un valore innanzitutto umano e sociale.
Così, è nella socialità del lavoro che trova forza propulsiva la stessa appartenenza democratica, dove il lavoro non è un sacrificio, ma il diritto che dà “senso” alla estrinsecazione della propria “azione intelligente” che nell’attività finalizzata del lavoro è “costruzione di significati” socialmente riconosciuti. Per una società aperta di cui ciascuno si senta parte nella garanzia di estrinsecare se stesso secondo i propri bisogni e necessità.
In questo guardare oltre, le madri e i padri costituenti riuscirono a realizzare la formidabile mediazione dialogica per costruire un dettato costituzionale di cittadinanza democratica per liberi ed uguali. Dove gli stessi rapporti tra individui società stato non sono sigilli di appartenenza omologante, ma di promozione di libertà e dignità individuale e sociale: in una società aperta ed emancipante all’insegna della solidarietà sociale (art.2).
I diritti individuali si fanno quindi corpo sociale che la Repubblica promuove, afferma e tutela, per la stessa vita democratica: cultura, istruzione, stampa, associazione, riunione, manifestazione, salute, casa… e tanto altro ancora.
Lo Stato non è quindi un mero regolatore, ma parte attiva, stabilendo che «L’iniziativa economica privata è libera». Ma non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, all’utilità sociale (art. 41). E tutto questo vale anche per la proprietà privata (art. 42). In questa prospettiva, lo Stato ha un ruolo attivo nella vita economica nazionale particolarmente nella titolarità o acquisizione di imprese «che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio che abbiano carattere di preminente interesse generale» (art.43). Lo Stato inoltre favorisce la formazione di cooperative di lavoratori e tutela l’artigianato (art.45). Oltre a riconoscere ai lavoratori il diritto di collaborare alla gestione delle aziende (art. 46).
La Carta potremmo definirla un tronco unico da cui si dipartono tutti i rami della società civile e dell’azione politica all’insegna della democrazia reale. E per questo è strutturata e intessuta su una trama di interrelazioni e interconnessioni che impedisce prevaricazioni commistioni, connivenze e abusi degli stessi organi e poteri dello stato.
E nella rigorosa separazione e autonomia dei poteri dello Stato (legislativo, esecutivo, giudiziario) si afferma l’indipendenza di ciascuno di essi. E la Costituzione prevede anche tutta una serie di pesi e contrappesi per l’equilibrio democratico e organismi di controllo. Diversamente avremmo un regime monocratico. Il contrario appunto di repubblica.
In tutto questo un ruolo fondamentale lo ha il Presidente della Repubblica in qualità di garante del buon funzionamento della Costituzione.
La democrazia – come è noto – ha bisogno di cittadini che sanno esercitare la libertà di pensiero, che eleva la ragione a facoltà umana suprema, che rivendica l’indipendenza dal dogmatismo.
Pensiero analitico-critico, che mantenendo il carattere di acquisizione autonoma e consapevole, induce ciascuno a mantenere il prospettivismo dialettico di ricerca inesausta e confronto aperto.
Ecco allora, che la nostra Costituzione individua nella scuola della repubblica – come affermava Piero Calamandrei – il suo «organo costituzionale». Scuola emancipante da dogmi e padroni.
È questa la scuola dell’art.33 della Costituzione che accordava ai privati di istituire proprie scuole (controllandone attendibilità e qualità) ma senza oneri per lo stato. Principio oggi aggirato attraverso forme indirette, tradendo così la Carta. E non è stato l’unico.
In Italia si è assistito e si sta assistendo alla rivincita di quelle forze illiberali e antidemocratiche la cui matrice è nel fascismo, con cui il Paese non ha fatto i conti fino in fondo, anche a causa della mancata epurazione finanche nei posti di comando, dando luogo alle connivenze tra fascisti mafia funzionari dello Stato (il così detto “stato deviato” con annessi e connessi tentavi colpi di stato (Piano Solo 1964 e golpe Borghese 1970) e alle così dette “bombe di stato” da Piazza Fontana (Roma 1969) a Piazza della Loggia (Brescia 1974) alla Stazione di Bologna (1982), a Via dei Georgofili (Firenze 1993) a davanti alla Basilica di San Giovanni Laterano a Roma e in via Palestro a Milano e Firenze (1993)… con inframmezzo di altri numerosi attentanti.
Per non parlare dei tentativi di vera e propria manomissione costituzionale intentati nel ventennio berlusconiano, e poi con la “Buona scuola” o il “Jobs Act”. Entrambi falliti. Ma che continuano a profilarsi all’orizzonte col governo in carica presieduto da Meloni.
Tutto questo è potuto accadere in una crisi della sinistra, che di metabolizzazione in metabolizzazione ha contribuito alla strisciante de-costituzionalizzazione curandosi sempre meno di quei beni comuni ben individuati nella Costituzione e che si chiamano diritto allo studio, diritto al lavoro nella tutela e dignità del lavoro, diritto alla casa, diritto alla salute… e tanto altro ancora.
Ecco allora che la Costituzione va rivendicata e rilanciata nella riappropriazione pubblica dello spazio costituzionale contro il ritorno ad una condizione di sudditi. Quella per cui lavorarono i reazionari con le loro reti di corruttela e corruzione nel più bieco familismo amorale.
E che per questo hanno in odio il progetto civile e sociale di libertà e giustizia della Costituzione. Troppo rivoluzionaria per chi magari vorrebbe cambiarne finanche la forma istituzionale o aggirandola.
E ancora una volta c’è da ringraziare l’Assemblea Costituente, che ha messo al riparo la nostra forma repubblicana, nella sua non modificabilità (Art.139). E ha previsto un rigido procedimento di revisione costituzionale (Art.138) con un doppio passaggio parlamentare con votazioni distanziate di almeno tre mesi, vincolando anche alla consultazione popolare mediante referendum, quando nella seconda votazione ciascuna Camera parlamentare non abbia raggiunto la maggioranza qualificante di almeno due terzi dei suoi componenti.
Speriamo che sia davvero un baluardo contro cui si schiantino quanti vanno blaterando che la Costituzione va riscritta. E lo fanno in particolare – non a caso a ridosso del 25 aprile, festa nazionale in Italia a memoria imperitura della Liberazione dal nazifascismo!
Buon compleanno Repubblica!
L’autrice: Maria Mantello è saggista e presidente dell’Associazione nazionale del libero pensiero Giordano Bruno