"Il ragazzo con la kefiah arancione" di Alae Al Said è un romanzo di amicizia e resistenza nella Palestina occupata, dove una kefiah passa di mano come simbolo di memoria e lotta, dall’oppressione all’identità

Trascinarono Ahmad. Allah ti protegga, pensò Loai. I soldati si guardarono soddisfatti, avevano appena avuto la conferma che cercavano: era proprio quello il fidai’i a cui stavano dando la caccia. Perché un fidai’i che consegna a qualcuno la propria kefiah è come un re che consegna ai propri sudditi la corona, come uno scrittore che consegna ai lettori il calamo, come un marinaio che consegna agli avi la propria barca. Era lui il fidai’i e aveva appena consegnato la sua kefiah ai posteri».

È un passaggio chiave de Il ragazzo con la kefiah arancione (Ponte alle grazie) di Alae Al Said, scrittrice nata a Roma di origini palestinesi. Chiave perché ci parla del passaggio di un testimone, dalla vita alla morte, dalla certezza all’oblio, dal terrestre all’eterno.

La parola fidai’i traduce “combattente per la libertà, partigiano”, e il suo plurale, più noto da noi, è fidayyin. Ma questo romanzo non è affatto, ovvero, non è soltanto la storia di chi fa guerriglia. Non è, o non è solo un romanzo di guerra. È, invece, una grande storia di amicizia e di affetto, ambientata in scenari che di rado hanno, negli ultimi decenni, visto la pace.

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