Come ormai dovrebbe essere noto a tutti, nei giorni dell’8 e 9 giugno si voterà per cinque referendum, di cui quattro in materia di lavoro e uno per il dimezzamento dei termini per ottenere la cittadinanza italiana.
Le posizioni politiche su questi quesiti cominciano ad essere davvero troppe, trovando un moltiplicatore nella problematica del quorum in quanto una partecipazione al di sotto del 50% più uno degli aventi diritto al voto renderà invalida la chiamata alle urne.
Con l’aggiunta di questa variante del quorum, il numero delle posizioni dei votanti, a seconda dell’appartenenza a questo o quel partito, aumenta enormemente.
C’è chi andrà a votare e chi non andrà a votare; chi andrà a votare, ritirerà le schede e le annullerà e chi prenderà le schede e voterà “no”; chi andrà a votare e voterà “si” e chi, pur andando a votare, non ritirerà le schede. Ognuna di queste posizioni, e le altre che la fantasia giuridica può inventare nel rispetto della legge, si colloca sulla retta della legittimità, ma trasmette messaggi sociopolitici contrastanti. Né la storia dei referendum italiani aiuta, perché tutti i partiti politici, a seconda della convenienza sul singolo quesito, hanno invitato i loro sostenitori ad andare al mare piuttosto che al seggio.
In questa giungla di proposte, che poi non riguarda solo i referendum, ma l’intera materia del voto dalla quale sempre più cittadini si distaccano, forse è giunto il momento di fare il punto per trovare un indirizzo al quale attenersi tutte le volte che viene proposta una convocazione elettorale.
Muoviamo da un primo elemento: il diritto di voto universale è molto recente ed è una conquista che le donne italiane hanno raggiunto solo il 10 marzo 1946, col loro primo voto amministrativo come ci ha ricordato lo splendido film di Paola Cortellesi C’è ancora domani del 2023. Dunque, recarsi a votare, per le donne, è l’esercizio di un diritto faticosamente ottenuto e, quindi, da celebrare ogni volta che se ne presenta l’occasione per rimarcare il successo finalmente conseguito e rincorso per secoli.
Per tutti, poi, uomini e donne, l’esercizio del diritto di voto non deve mai essere inteso come una vuota ed inutile routine ma, in primo luogo, rappresentata la commemorazione di quanti hanno dato il sangue contro i dittatori di ogni epoca per permettere al popolo di partecipare attivamente alla vita della collettività. In secondo luogo, poi, recarsi a votare costituisce l’esaltazione del più profondo principio democratico che ci piace continuare ad attribuire a Voltaire: «Non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu possa dirlo».
Ecco, andare a votare è esattamente l’applicazione di questo principio: affinché tutti possano dire ciò che ritengono utile per la società, occorre andare a votare anche se non si è d’accordo con i temi posti in discussione: basta votare “no”, ma andare sempre e comunque a votare per mantenere vivo il fuoco della libertà e della democrazia.
L’autrice: Shukri Said è giornalista. Coautrice e co conduttrice di “Africa Oggi” per Radio Radicale, è inoltre corrispondente dall’Italia per la Bbc e per Voice of America
illustrazione di Valentina Stecchi