Il 19 luglio, il segretario di Stato degli Stati Uniti, Marco Rubio, ha annunciato la revoca dei visti statunitensi a 8 degli 11 giudici della Corte suprema brasiliana. Accusati, secondo il governo Trump, di “perseguire” e “censurare” l’ex presidente Jair Bolsonaro, la misura è stata estesa anche ai loro familiari e al capo della procura generale della Repubblica, Paulo Gonet, per aver chiesto, presso la Corte, la condanna a circa quarant’anni di reclusione per Bolsonaro, i generali Walter Braga Netto, Augusto Heleno e Paulo Sérgio Nogueira, assieme ad altri tre militari. I crimini riscontrati dalla procura sarebbero quelli di associazione a delinquere, tentata abolizione violenta dello Stato democratico, colpo di Stato e danneggiamento al patrimonio pubblico e culturale, aggravato da violenza e grave minaccia.
Per Lula, l’ingerenza degli Stati Uniti nel sistema giudiziario del Brasile è “inaccettabile”, un ricatto che viola i principi fondamentali del rispetto e della sovranità tra le nazioni .
La decisione del governo statunitense è stata applicata unicamente ai giudici considerati “nemici” di Bolsonaro, meritevoli quindi di una “punizione” per aver accolto la denuncia della procura che individuò l’ex presidente Bolsonaro come il mentore del tentativo di golpe, avvenuto l’8 gennaio 2023, dal quale emerse la trama per uccidere Lula, il suo vice Geraldo Alckmin e il giudice della Corte suprema Alexandre de Moraes. Oltre all’accusa per il tentato golpe, il 17 luglio scorso Bolsonaro ha confessato di aver trasferito al figlio Eduardo Bolsonaro, eletto deputato, ma sin da febbraio negli Usa, ben due milioni di reais (circa trecentomila euro), per «difendere la democrazia», ovvero, finanziare la lobby che convinse Trump ad applicare dazi, sanzioni economiche e misure contro la magistratura del suo stesso paese, in cambio dell’estinzione dei processi a suo carico e dell’amnistia agli estremisti che invasero Brasília.
Non sono stati oggetto della ritorsione degli Usa i giudici André Mendonça e Kassio Nunes Marques, nominati da Bolsonaro, o il giudice Luiz Fux, per aver votato contro le misure coercitive applicate dalla Corte agli estremisti che misero a ferro e fuoco Brasilia, poco prima dell’insediamento di Lula. I tre giudici, tuttavia, hanno espresso la loro solidarietà ai colleghi e ribadito il comune impegno a favore dell’indipendenza della magistratura e della difesa dello Stato democratico .
La decisione degli Usa di attaccare la Corte suprema accade in un momento particolarmente delicato per l’estrema destra brasiliana che, da incrollabile sostenitrice di Trump, ha ricevuto con incredulità l’annuncio dei dazi al 50% per il Brasile. Il Partido Liberal, al quale appartiene Bolsonaro e i suoi tre figli, il deputato Eduardo, il senatore Flávio e l’assessore comunale Jair Renan, appare diviso tra esponenti che ritengono sia un tradimento della famiglia nei confronti del proprio elettorato, pur di salvaguardare il capo clan, e un nocciolo duro di esaltati, guidati dal pastore Silas Malafaia, che indice manifestazioni pro Trump in chiave anticomunista .
Con l’annuncio della punizione collettiva di Trump, l’estrema destra, finanziata e sostenuta dal mondo dell’agribusiness – settore maggiormente colpito dal cosiddetto “tarifaço” – si è vista crollare i suoi consensi ma, per Eduardo Bolsonaro, il presidente statunitense ha ragione e, al contrario delle retromarce fatte con gli altri Paesi, non sarebbe disponibile ad arrivare ad alcun tipo di trattativa con la comitiva spedita dal governo Lula, avente capo il vicepresidente Geraldo Alckmin: rifiutandosi di cedere ai ricatti di Trump, il Brasile, “un paese che marcia a passo spedito verso il comunismo”, allontanandosi perciò dal “mondo libero”, secondo la retorica del primogenito di Bolsonaro, merita “ricevere dal governo Trump lo stesso trattamento del Venezuela” .
Con la difesa a spada tratta dell’alleato Bolsonaro, oltre a provare a strangolare l’economia del Brasile, Trump punta a colpire la Corte suprema non solo in quanto organo che garantisce la corretta applicazione dei principi costituzionali nel paese ma anche, negli ultimi anni, come l’organismo che più volte ha provato a regolare l’operato delle big tech statunitensi per quanto riguarda la diffusione di notizie false. Poiché si tratta di motivazioni politiche (e non tecniche), c’è ben poco margine di negoziazione e di eventuali concessioni da parte del governo Lula.
Oltre a ciò, l’obiettivo finale dell’amministrazione Trump sembra essere quello di esercitare una qualche influenza sul processo elettorale del 2026. In questo senso, l’estinzione dei processi a carico di Jair Bolsonaro garantirebbe, successivamente, la sua candidatura alla presidenza della repubblica e, se eletto, l’uscita dai Brics, frenando la strada del multilateralismo, difesa da Lula . Per Steve Bannon, uno degli artefici dell’alleanza transnazionale dell’estrema destra, Eduardo Bolsonaro, più volte ospite nelle sue trasmissioni per attaccare, dagli Usa, il governo Lula e le istituzioni del paese che l’ha eletto deputato, sarebbe proprio lui il destinato a diventare il futuro presidente del Brasile . A dimostrazione dell’investimento degli Stati Uniti nella sua persona, due giorni prima della lettera di Trump, Eduardo aveva già preannunciato l’arrivo di misure contro l’economia brasiliana e, subito dopo, non esitò a ringraziare Trump come l’eroe che avrebbe impedito il Brasile di diventare “un’altra Venezuela, Cuba o Nicaragua” auspicando, addirittura, in un video divulgato il 19 luglio, il dispiegamento della marina militare degli Usa sulle coste brasiliane, pur di intimidire il governo Lula e la Corte suprema.
Suo fratello Flávio, nonostante sia senatore della repubblica, andò ancora oltre. In un’intervista alla Cnn, affermò che Trump aveva il diritto di “fare quello che voleva” e che, siccome nel corso della II Guerra mondiale gli Usa avevano “lanciato una bomba atomica su Hiroshima per dimostrare la loro forza”, la responsabilità di evitare che “due bombe atomiche” venissero lanciate anche contro il Brasile era del governo Lula e del parlamento, che doveva “arrendersi” ai voleri di Trump concedendo, tanto per cominciare, l’amnistia agli estremisti di destra in carcere o sfuggiti alla legge, nonché al proprio padre.
Con la motivazione che Jair Bolsonaro e il figlio Eduardo avevano lavorato sodo per punire l’intera popolazione e attentato alla sovranità nazionale, il giudice della Corte Suprema, Alexandre de Moraes ha ordinato un’operazione della Polizia Federale che ha sequestrato circa 15.000 dollari nell’abitazione dell’ex presidente, oltre a determinare l’uso di un braccialetto elettronico alla caviglia, in vista del pericolo di fuga. In base alla decisione, all’ex presidente è stato anche vietato l’accesso ai social network, di circolare liberamente tra le 19 e le 7, di avvicinarsi alle ambasciate, e di parlare con altre persone indagate dal tribunale, compreso il figlio Eduardo.
Dal canto suo, dopo essere stato invitato dal proprio partito a moderare i toni e far ragionare Trump, per bloccare l’entrata in vigore dei dazi, prevista per il primo agosto, Eduardo Bolsonaro ha scelto di posare da “martire per la libertà” affermando di preferire “morire” nel suo auto esilio ad essere giudicato dalla Corte suprema .
La risposta decisa del presidente Lula a Trump, in difesa della magistratura, della democrazia e dell’indipendenza tra i poteri, ha generato nel paese un clima di unità e consenso contro “i traditori della patria” come li ha definiti Lula, riportando la bandiera del patriottismo, sequestrata per decenni dalle destre, non solo in mano alla sinistra, ma anche ai più moderati e al mondo dell’imprenditoria.
L’autrice: L’avvocata per i diritti umani Claudiléia Lemes Dias è scrittrice e saggista. Tra i suoi libri Le catene del Brasile.(L’Asino d’oro ed.) e il nuovo Morfologia delle passioni (Giovane Holden ed.)
In foto, Bolsonaro e Trump nel 2019




