Segretario Andrea Filippi, la pandemia ha reso evidente quanto la salute sia un bene comune e quanto un sistema sanitario equo, universale, solidale sia essenziale alla coesione sociale e alla democrazia. Come fare perché questa consapevolezza si trasformi in un cambiamento radicale?
È prima di tutto un problema culturale, poi politico e solo per ultimo organizzativo. La pandemia ci ha costretto ad acquisire consapevolezza della complessità della persona, del limite e della fragilità del nostro essere corpi biologici e della nostra arroganza anti-biologica ed anti-ecologica che ci disconnette da noi stessi, impedendoci una visione collettiva di come co-costruire consapevolmente percorsi di salute. Con la pandemia abbiamo dovuto prendere atto che le riforme successive alla 833 si sono allontanate dall’obiettivo di costruire progressivamente un sistema di tutele della salute equo, universale, solidale, diffuso, strutturalmente solido. Ci avrebbe dovuto costringere, pertanto, ad operare un cambiamento radicale, profondo e sistemico, restituendo ai cittadini i loro diritti.
E invece la risposta quale è stata?
La risposta è rappresentata da miopi movimenti che alimentano la malattia che l’ha generata, attraverso interventi tampone privi di progettualità condizionati dal risparmio finanziario; non si può continuare a far credere che i diritti delle persone, l’ecologia della vita, l’armonia sociale, l’equità nelle azioni, l’attenzione ai bisogni ed allo sviluppo delle esigenze, siano uno spreco insostenibile. La sostenibilità
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