Pancaldi, Parrinello e Montellanico danno vita a un movimento che unisce artisti e cittadini per rompere il silenzio con le armi dell'arte. Il 23 settembre invitano tutti a Bologna per Voci della Palestina live

Di fronte all’azione ignominiosa di Israele, che dopo aver bombardato e affamato Gaza ora annuncia la piena presa di possesso della Striscia e la deportazione della popolazione palestinese, si moltiplicano le iniziative di denuncia nel mondo culturale. Tra le iniziative a sostegno del popolo palestinese è nata “Voci per la Palestina”, lanciata da Chiara Pancaldi, Simona Parrinello e Ada Montellanico, autrici, cantanti e musiciste di spicco della scena jazz italiana, da sempre attive per cause civili, ma anche culturali (Montellanico ha fondato e presieduto il MIDJ, Musicisti italiani di jazz; Parrinello ne è stata vicepresidente). Il 23 settembre a Bologna Voci per la Palestina diventa live con decine e decine di artisti.

Come nasce “Voci per la Palestina”?

Racconta Chiara Pancaldi: “Dall’urgenza di uscire da una spirale di solitudine e di impotenza nella quale questi venti mesi ci hanno trascinato. Con Simona e Ada avevamo già firmato Artists for Palestine, un movimento di artisti che si oppongono al genocidio aderendo alla campagna di boicottaggio culturale, ma sentivamo il dovere di parlare non solo come singole cittadine, ma come una voce collettiva, e volevamo che ciò che avevamo da dire fosse espresso in modo forte e chiaro. Da qui l’idea di creare un movimento più ampio che partisse da ‘Artists for Palestine’ ma si estendesse a tutta la società civile”.

Parliamo di un gruppo di donne e uomini, artiste e artisti, lavoratrici e lavoratori del mondo dell’arte e dello spettacolo, cittadine e cittadini. L’intento è quello di squarciare il silenzio e parlare apertamente di genocidio in corso a Gaza con un manifesto che si fonda sull’opposizione ad ogni forma di discriminazione, apartheid, persecuzione e violenza verso qualsiasi popolo. Alla cecità della politica si oppone il mondo culturale che si esprime attraverso il linguaggio dell’arte. Abbiamo chiesto alle tre artiste di raccontarlo fornendo informazioni su come aderire al movimento.

Chiara Pancaldi

Chiara, qual è stata la spinta che vi ha portato prima all’adesione ad “Artists for Palestine” e poi a realizzare “Voci per la Palestina”?

Più di ogni altra cosa, sentiamo il dovere di recuperare un senso di comunità. In questa società dominata dall’iper-capitalismo, da logiche ultra-individualistiche, da uno stato perenne di alienazione, e dove la legge che sembra prevalere è quella del divide et impera, è sempre più importante tornare a parlare di comunità, di condivisione, di relazioni. Stiamo vivendo un orrore immenso anche se non sentiamo il terrore delle bombe, il dolore dato dalla perdita dei propri cari, quello dei corpi amputati, o dei morsi della fame, di questo siamo solo testimoni. Il dolore che ci segna in prima persona, invece, è quello generato dall’apatia e dalla disumanizzazione, che proviamo sempre più forte, giorno dopo giorno, nei nostri corpi e nel corpo, muto, della nostra società.

Simona: “Voci per la Palestina”, oltre che dal sentire condiviso da me, Chiara Pancaldi e Ada Montellanico di opporsi al sentimento paralizzante dell’impotenza, nasce dal rifiuto di accettare l’assenza, o la presenza ancora troppo timida, del mondo dell’arte nell’espressione di dissenso e nel prendere una posizione uscendo da una neutralità complice. Costruire una rete culturale e artistica, che spezzi questo silenzio complice e restituisca all’arte il suo ruolo politico e umano di resistenza, può fare la differenza. Soprattutto se, come auspichiamo, riusciremo a unire le molte realtà frammentate, amplificando ogni gesto e trasformandolo in un’onda collettiva.

Qual è l’intento di questa iniziativa?

Chiara: con questa iniziativa, abbiamo tentato di creare uno spazio in cui prenderci cura di tutti questi dolori, come individui e come corpo sociale, per riappropriarci, in primo luogo, del sentire e, infine, affinché questo sentire possa produrre qualcosa di nuovo. Vorremmo che “Voci per la Palestina” fosse uno spazio in cui gli artisti possano mettere in campo il loro dissenso, attraverso la propria arte e il proprio attivismo, per restituire all’arte, come diciamo nel nostro manifesto, il suo ruolo di strumento di pace, libertà e resistenza. Il movimento sta crescendo, e stiamo lavorando su campagne di sensibilizzazione, cercando di costruire una rete con le molte realtà che in questi due anni si sono mobilitate. Stiamo anche creando azioni di boicottaggio mirate, seguendo le campagne proposte da BDS (il movimento di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni per i diritti del popolo palestinese) e PACBI (Palestinian Campaign for the Academic and Cultural Boycott of Israel), che invita il mondo dell’arte, della cultura e delle università a non collaborare con istituzioni complici dell’occupazione. Le azioni di BDS e PACBI sono forme di resistenza non violenta che mirano a contrastare le politiche di genocidio di Israele e a costruire strategie di pressione reale. Azioni che oggi sono più necessarie che mai, anche alla luce del Rapporto che Francesca Albanese ha presentato alle Nazioni Unite lo scorso 30 giugno.

Simona Parrinello

Simona, come si può aderire al Movimento?

Aderire al nostro movimento è semplice. Invitiamo tutte e tutti a iscriversi a “Voci per la Palestina” e ad “Artists for Palestine Italia”. Sul nostro profilo Instagram @vociperlapalestina si trovano tutte le indicazioni per aderire alla rete, i link al manifesto, al form di iscrizione, i materiali utili per partecipare alle call e gli aggiornamenti sulle azioni in corso. Scrivendoci tramite i social sarà facile ricevere supporto e indicazioni per capire come partecipare attivamente e tutti i livelli possibili. Abbiamo da poco lanciato una call nazionale intitolata “Cultura e Arte Disertano il Silenzio – Facciamo Rumore”, in risposta alla chiamata del 27 luglio di “Ultimo Giorno di Gaza” e in una sua espansione estiva e stiamo cercando di coinvolgere teatri, festival, spazi culturali e artisti affinché si possano creare momenti di riflessione, dissenso e consapevolezza interrompendo gli spettacoli e le performance per tutti i mesi di agosto e settembre.

Perché è necessaria un’iniziativa culturale per mettere luce su questo genocidio?

Simona: l’arte e la cultura nascono dal sentire umano più profondo e dalla sua essenza stessa, e non possono restare in silenzio di fronte all’ingiustizia, alla violenza e all’oppressione. Prendere posizione è parte integrante della loro natura di verità: sono strumenti di coscienza, resistenza e trasformazione. Quando, oltre all’ingiustizia, all’oppressione e alla violenza perpetrate, anche le parole e la realtà vengono manipolate, quando si evita deliberatamente di usare il termine “genocidio”, si censura il racconto degli eventi e si tace sulla pulizia etnica in atto a Gaza e in Palestina. Si costruisce una narrazione falsa e distorta che nega la portata della tragedia. In questo silenzio, che soffoca l’anima e rende complici, arte e cultura hanno il dovere imprescindibile di intervenire, di alzare la voce, di farsi grido collettivo. Hanno la responsabilità anche di farsi portavoce di una narrazione alternativa, capace di squarciare l’inganno e restituire dignità, verità e umanità a chi ne è stato privato. Solo attraverso una voce collettiva forte e consapevole possiamo contrastare la manipolazione, scuotere le coscienze e ricostruire verità. L’arte custodisce la possibilità di immaginare mondi diversi, di generare bellezza anche nel dolore. Ne abbiamo esempi commoventi da Gaza stessa ogni giorno. L’arte può tessere legami tra persone e storie lontane. L’arte non parla solo di speranza, la incarna, la coltiva. Attraverso la bellezza, che per noi come per tutte le artiste e gli artisti è parte del quotidiano e di una ricerca costante, si può risvegliare uno sguardo più umano, più empatico, capace di riconoscere l’altro e comprenderlo.

Chiara: l’arte commuove e ci aiuta a sentire l’altro, facendoci uscire da questa condizione di anestetizzazione del dolore, che sembra colpire la nostra società e che sperimentiamo assistendo, quotidianamente, al genocidio del popolo Palestinese in diretta sui social.

Ada: l’arte, quando è viva, quando non si piega allo status quo, è sempre atto politico.

Ada Montellanico

Ada, qual è, secondo te, il contributo che un artista può e deve dare a “Voci per la Palestina”?

Un artista non può voltarsi dall’altra parte. Davanti all’orrore, al genocidio, alla sistematica cancellazione di un popolo, non può esistere neutralità. Il nostro compito – la nostra responsabilità – è di dare voce a chi viene ridotto al silenzio, di trasformare il dolore e la rabbia in linguaggio, suono, gesto, denuncia. “Voci per la Palestina” non è solo un’iniziativa: è un atto di resistenza collettiva. Nel buio dell’indifferenza globale, nel silenzio complice delle istituzioni, l’arte può accendere una luce scomoda, può creare un cortocircuito, può rendere visibile ciò che si vuole cancellare. Per questo chiediamo a tutti di aderire, è importante essere in tanti e uniti per condividere e scambiare idee, creare azioni collettive che abbiano la forza di muovere qualcosa a livello istituzionale, e spingere affinché realtà  culturali e artistiche rompano qualsiasi legame con lo stato genocida. È importante seguire e promuovere le nostre campagne ognuno a proprio modo e con la propria sensibilità o crearne altre insieme. Con la nostra voce possiamo spezzare la narrazione dominante ed  essere strumenti di memoria e di verità, di denuncia, di ribellione creativa, di stimolo per la costruzione di un pensiero nuovo che attraverso l’arte, le immagini, i suoni, le parole, la poesia, possa esprimere la ricchezza, la bellezza e la fantasia inconscia di cui ogni essere umano sano è espressione e portatore. Non si tratta solo di solidarietà: si tratta di prendere parte, di scegliere da che parte stare. E se la nostra arte non prende parte, allora è solo intrattenimento. E noi non vogliamo intrattenere. Sappiamo e siamo coscienti che questo significa esporci e rischiare di perdere lavoro, concerti, etc, ma non possiamo soggiacere a questo ricatto rinnegando i nostri valori.

Come co-autrice del libro de L’Asino d’oro Esseri umani uguali. Una ricerca sulle radici del razzismo (insieme a C. Carbonari, R. Carnevali, F. Montanelli, S. Roffi) presentato anche da Francesca Albanese al Salone torinese, puoi dire quale dovrebbe essere il contributo, per non dire obbligo, di ogni singolo cittadino, anzi essere umano?

Ada: ogni cittadino ha un potere immenso, quello di non restare in silenzio. In un tempo in cui l’informazione è manipolata e il massacro diventa rumore di fondo, la voce del singolo può essere una crepa nel muro dell’indifferenza. Informarsi, parlare, scendere in piazza, prendere posizione, sono gesti che costruiscono una rete di coscienze vigili. Sopratutto boicottare, come raccontava Chiara, non comprando più prodotti di nessun tipo da aziende appartenenti allo stato genocida, o peggio ancora che investono e lucrano in armi e guerre. Boicottare è qualcosa che può realmente fare la differenza e creare un vero danno. Non è più tempo di timidezze, di “non so abbastanza”, di “non mi riguarda”. Riguarda tutti. Non possiamo più dire “non sapevamo”. Le immagini, le testimonianze, la verità ci urlano contro ogni giorno. Chi sceglie di non ascoltare, sceglie di essere complice. Il genocidio in Palestina non è solo una tragedia geopolitica, è una ferita aperta nella coscienza collettiva, è una prova per la nostra capacità di empatia, di indignazione, di azione. In tempi disumani, restare umani è un atto radicale. E ogni cittadino, ogni singolo essere umano, ha la possibilità – e la responsabilità – di fare una scelta: restare in silenzio o farsi voce. Serve sentire che la sofferenza dell’altro ci riguarda. Che il diritto alla vita, alla dignità, all’infanzia, alla terra, alla libertà, è universale. E che quando viene negato a uno, è una ferita per tutti. Siamo chiamati, uno per uno, a costruire un fronte etico, culturale, umano che dica: non in mio nome. Non con il mio silenzio, non con la mia distrazione. Essere cittadini, oggi, significa non voltarsi. E farlo ogni giorno, finché giustizia non sarà fatta. Non possiamo accettare che il mondo continui a girarsi dall’altra parte mentre si cancellano vite, sogni, intere generazioni. La storia ci guarda, e chiederà conto del nostro silenzio o del nostro coraggio.

 

L’appuntamento: Il 23 settembre a Bologna ( piazza Lucio Dalla dalle 17,30)

 Voci per la Palestina. L’arte si schiera: insieme per la libertà del popolo palestinese

 

Il 23 settembre, a partire dalle ore 17:30, Piazza Lucio Dalla a Bologna diventerà il cuore pulsante di “Voci per la Palestina”, un evento artistico e civile promosso dal movimento omonimo insieme ad Artists for Palestine, con la partecipazione di numerose associazioni aderenti.Musicisti, attori, personalità della cultura, realtà attive nell’ambito umanitario e della tutela dei diritti fondamentali, uniscono le loro voci per dire al NO AL GENOCIDIO DEL POPOLO PALESTINESE e per affermare il valore universale dei diritti umani, agendo l’arte e la cultura come strumenti concreti di denuncia e resistenza. L’iniziativa nasce dal movimento “Voci per la Palestina”, ideato da artiste e artisti che hanno scelto di mettere la propria arte al servizio della giustizia, della pace e della solidarietà. Attraverso musica, teatro, poesia e danza, l’evento creerà uno spazio di riflessione e condivisione, ricordando che l’arte può e deve essere un ponte tra i popoli, capace di unire le coscienze, e con il fine di supportare ogni possibile strumento di lotta politica pacifica e nonviolenta, con particolare attenzione alle campagne di boicottaggio del movimento, a guida palestinese, BDS.Performance artistiche, letture, testimonianze, collegamenti in diretta e contributi video di artisti e sostenitori si alterneranno durante la serata, intrecciando linguaggi diversi per raccontare il dramma, la resistenza e la speranza del popolo palestinese. L’evento Voci per la Palestina è gemellato con l’evento NoBavaglio, in programma sempre nella giornata di martedì 23 settembre a Largo Dino Frisullo, Roma dalle ore 17. Nel corso della giornata alcuni interventi saranno condivisi in collegamento video tra le due iniziative.

Parteciperanno ( in ordine alfabetico): Eloisa Atti, Giacomo Armaroli, Giancarlo Bianchetti, Giulia Barba, Nicola Borghesi, Fabrizio Bosso, Marco Bovi, Stefano Calderano, Carolina Cangini, Stefano Cocco Cantini, collettivo Bologna for Palestine, Alberto Capelli, Piero Cardano, Ettore Carucci, Nelly Creazzo, Maria Pia De Vito, Gianluca Di Ienno, Francesco Diodati, Silvia Donati, Diego Frabetti & Duna Mixtape, Paolo Fronticelli, Giulia Franzaresi, Alessandro Galati, Simone Graziano, Sergio Mariotti, Carlo Maver, Tomaso Montanari, Ada Montellanico, Stefano Moretti, Roberto Ottaviano, Moni Ovadia, Chiara Pancaldi, Simona Parrinello, Alessandro Paternesi, Davide Paulis, Zoe Pia, Franco Piana, Stefano Pilia, Emiliano Pintori, Enrico Pittaluga, Alessandro Rossi, Ruba Salih, Simona Severini, Susanna Stivali, Enrico Smiderle, Stefania Tallini, Tati Valle, Filippo Vignato, Marco Zanotti e Classica Orchestra Afrobeat, Stefano Zenni. Parteciperanno con contributo video: Carolina Bubbico & Corolla Gabriele Coen Gaza Bird Singing – Ahmed Abu Amsha Giovanni Falzone Paolo Fresu Rita Marcotulli

 

foto di apertura di Valerio Pagni