Dal Settecento a oggi questa sindrome ha cambiato volto infinite volte. Da colpa educativa a malattia ipercinetica, in un continuo oscillare tra analisi clinica e giudizio morale

Ripercorrere le orme dell’Adhd è come partire per un viaggio nel tempo, più o meno quello che avviene ogni volta che ci troviamo ad osservare un cielo stellato. Ciò che vediamo non è quello che sta succedendo, ma ciò che accadeva nel momento in cui la luce è partita.

Nel caso dell’Adhd il percorso non è stato così lineare, e i comportamenti cui oggi viene data valenza di sintomi sono stati osservati attraverso lenti molto diverse, con il cammino che lo ha portato ad essere considerato un disturbo del neurosviluppo e non un difetto dell’educazione costantemente in bilico tra il giudizio clinico e quello morale. Attualmente nel nostro Paese si fa fatica a comprendere le dimensioni del fenomeno persino con le statistiche, con i dati ufficiali sulla prevalenza al 5-6% smentiti dai registri di classe.

In alcune aule si può arrivare sino a 6 ragazzi su un totale di 18 alunni, con un incremento dei casi che non ha precedenti nell’ambito della salute mentale né trova spiegazioni epidemiologiche, a meno che non si voglia attribuirlo, più che ad una diffusione “virale”, ad un’esplosione del fenomeno su base mediatica.

Di sicuro ad una crescita tanto vertiginosa hanno contribuito le variazioni dei criteri diagnostici decise dall’Associazione psichiatrica americana.

Dall’edizione del 2012 del Dsm-Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, l’età di esordio dei sintomi è stata portata dai precedenti 7 anni agli attuali 12 anni di età, raddoppiando il campione della popolazione e quindi la prevalenza, con la diagnosi che ora può essere posta in comorbidità con i disturbi dello spettro autistico, dal quale in precedenza l’Adhd doveva essere invece “attentamente differenziato”. Anche se più recente però, quella dell’inquadramento diagnostico non è stata l’unica svolta nella sua storia.

Come ogni fenomeno umano anche l’Adhd ha risentito tanto della sensibilità dello strumento con cui si è cercato di misurarlo quanto delle influenze culturali dell’epoca in cui è stato osservato, così che persino Conners, autore nel 1969 dell’omonima scala di valutazione, ha di recente espresso riserve, raccomandando prudenza.

Negli Usa la percentuale di bambini in età scolare che attualmente riceve diagnosi è superiore al 9% e si arriva al 20% nella fascia adulta; mentre in Francia, dove i criteri

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