Il 25 gennaio 2025 il Bulletin of the atomic scientist ha spostato di un secondo in avanti le lancette dell’orologio dell’apocalisse, metaforica clessidra che dal 1947 misura il pericolo di un’ipotetica fine dell’umanità. Il Doomsday clock non è mai stato così vicino alla mezzanotte: 89 secondi. Un tempo che silenziosamente fotografa una drammatica realtà che, dopo la seconda guerra mondiale, dopo l’orrore di Hiroshima e Nagasaki, dopo la fine della guerra fredda, si pensava di non dover più rivivere: siamo a un passo dall’irreparabile. Passo che in questi otto mesi si è accorciato ulteriormente se pensiamo all’irrigidimento delle posture nucleari di Russia e Stati Uniti (guidati proprio da gennaio da Donald Trump), alla Cina che intensifica le minacciose pressioni su Taiwan, a Israele che rade al suolo Gaza, annette interi territori in Cisgiordania, bombarda l’Iran, il Libano, lo Yemen, al Pakistan e all’India di nuovo ai ferri corti per il Kashmir. Tutti Paesi, questi, per lo più guidati da destre reazionarie, autocrati o estremisti religiosi che hanno nel loro arsenale complessivamente migliaia di bombe atomiche. Nel 1986 gli Stati Uniti e l’Urss da soli avevano 63.500 testate. Oggi sono scese a 12mila, ma più di mille sono pronte al lancio in pochi minuti.

Come in un romanzo il nostro autore riannoda i fili della storia a partire Per continuare la lettura dell'articolo abbonati alla rivistaQuesto articolo è riservato agli abbonati
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