Le dichiarazioni di Antonio Tajani al Festival di Open hanno il sapore della resa. Davanti alla possibilità che la Flotilla diretta a Gaza venga intercettata da Israele, il ministro degli Esteri ha parlato di «impotenza». È una scelta politica, un calcolo: rinunciare al diritto internazionale per non incrinare i rapporti con Tel Aviv. È una resa secca. Punto.
Lo ricorda il comunicato del Global Movement to Gaza: il blocco navale imposto da Israele dal 2007 è illegale. Se le navi pacifiste venissero fermate, sarebbe un atto di pirateria e sequestro di persona. La portavoce Maria Elena Delia è chiara: «Non chiediamo protezione militare, chiediamo l’applicazione delle regole». Una richiesta elementare che il ministro capovolge difendendo anche l’inerzia dello Stato.
La domanda è: fino a che punto un Paese democratico può sacrificare la legalità internazionale sull’altare delle convenienze diplomatiche ed economiche? Per questo l’organizzazione, insieme al senatore Marco Croatti e all’europarlamentare Benedetta Scuderi, chiede una Commissione parlamentare d’inchiesta sui rapporti istituzionali ed economici tra Italia e Israele: trasparenza e responsabilità.
Il punto è qui. Ammettere «impotenza» mentre civili vengono schiacciati da un assedio illegale equivale ad abdicare; prudenza qui è un alibi. La tutela dei cittadini italiani imbarcati e il rispetto del diritto internazionale non sono favori da contrattare, sono obblighi. Se il governo non li esercita, è giusto che il Parlamento e l’opinione pubblica pretendano memoria dei fatti, controllo degli atti e un cambio di rotta.
Buon lunedì.
In foto Greta Tumberg alla presentazione dell’iniziativa della Global Sumud Flottilla




