Sono passati 30 anni dalla firma degli accordi che hanno portato alla conclusione delle guerre jugoslave ed è importante fermarsi a riflettere su ciò che è avvenuto appena al di là del Mar Adriatico, nei Balcani occidentali, tre decenni fa. Come sempre capire e comprendere storicamente il passato ci serve per riuscire a leggere meglio il presente, a riconoscere anche in ciò che appare distante e scollegato, qualcosa di semplicemente e tristemente già avvenuto. Le pulizie etniche e il genocidio dei palestinesi potrebbero apparirci allora non come delle rotture della storia ma come delle “ripetizioni” che dovremmo imparare a scongiurare una volta per tutte e per tutti i popoli del mondo, una lezione da imparare soprattutto qui in Europa. L’antecedente ultimo, tutto europeo, è infatti proprio quello dei Balcani occidentali dei primi anni Novanta. Una storia che abbiamo evitato per troppo tempo di approfondire, conoscere ed elaborare, contrariamente a quanto fatto invece per la Shoah. Oggi, allora, mentre Gaza scompare e la Cisgiordania è a rischio annessione nel brusio di cosiddetti piani di pace coloniali, tutto questo chiede conto alle nostre coscienze con la più estrema serietà e urgenza.
Prima di parlare degli accordi di Dayton che hanno scritto la parola fine alle guerre di secessione jugoslave, bisogna ricordare brevemente cosa sono state. La definizione più tecnica potrebbe essere quella dei conflitti che hanno causato la dissoluzione della Repubblica socialista federale di Jugoslavia, attraverso la secessione graduale di Slovenia (Guerra dei dieci giorni del 1991), Croazia (1991-95) e Bosnia-Erzegovina (1992-95). C’è anche una poco menzionata secessione macedone avvenuta senza conflitti e con la firma degli Accordi di Ohrid (2001) e poi la delicatissima questione dell’indipendenza del Kosovo (2008), Stato a “riconoscimento limitato” da parte dei paesi membri dell’Onu che non rientra però negli Accordi di Dayton.
Questi ultimi vennero firmati dal presidente della Serbia Slobodan Milošević, da quello della Croazia Franjo Tuđman e della Bosnia-Erzegovina Alija Izetbegović, a supervisionarli il diplomatico e negoziatore americano Richard Holbrooke, l’inviato speciale per l’Unione europea in Jugoslavia Nils Daniel Carl Bildt e il diplomatico russo Igor’ Sergeevič Ivanov, oltre ad altri rappresentanti del governo e della diplomazia Usa Clinton. La loro stipulazione porta principalmente a due risultati: la fine delle ostilità nei Balcani occidentali e la divisione della Bosnia-Erzegovina in due entità territoriali autonome, la Republika Srpska, a maggioranza serba e la Federazione di Bosnia-Erzegovina a maggioranza croato-bosgnacca. Bisogna dire subito però che a Dayton come riporta l’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) «un accordo “ottimale” per ognuna delle parti era impossibile», l’urgenza era infatti che finisse lo spargimento di sangue e per farlo si doveva «raggiungere un punto di equilibrio perfetto tra le posizioni divergenti».
Ma quando arriva la pace sancita a Dayton? Gli Accordi o Dayton Peace Agreement vengono Per continuare la lettura dell'articolo abbonati alla rivistaQuesto articolo è riservato agli abbonati
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