Ogni volta che la realtà bussa, la destra risponde con uno slogan

In questo Paese il governo vede «gender» ovunque. Basta aprire un libro, accendere la tv, attraversare un corridoio scolastico: per la destra è tutto un complotto di drag queen, “bolla woke” e presunti indottrinamenti. L’ultimo esempio è il disegno di legge sul consenso informato, approvato alla Camera, che vieta l’educazione sessuo-affettiva alle primarie e la subordina all’autorizzazione delle famiglie alle medie e alle superiori.

Il racconto costruito è sempre lo stesso. C’è una minaccia invisibile che incombe sui figli, ci sono “attivisti travestiti da esperti” pronti a colonizzare le scuole e perfino – hanno detto ieri in Aula – «pornoattori che parlano di fluidità sessuale». È una caricatura che funziona: più è irreale, più alimenta paura. E la paura, si sa, è la leva politica preferita da chi non ha altro da offrire.

Il paradosso è che mentre il governo proclama di voler “proteggere i giovani”, i fatti raccontano un’altra urgenza: nelle scuole compaiono liste di stupri, le denunce di violenza aumentano, la cultura del rispetto resta fragile. Ma invece di investire in educazione scientifica e strumenti per riconoscere la violenza, la maggioranza erige un muro ideologico e consegna alle famiglie un potere di veto che svuota l’autonomia scolastica.

Ogni volta che la realtà bussa, rispondono con uno slogan: «Dio, patria e famiglia». Una formula che diventa grimaldello per controllare ciò che si può insegnare e ciò che si deve tacere. Il risultato è una scuola più povera, più impaurita, più ricattabile. Forse è proprio questo il punto: meno conoscenza, più propaganda.

Buon giovedì.

Foto Camera dei deputati