La statua di Giovanni Falcone che sta di fronte all’istituto comprensivo Giovanni Falcone a Palermo, nel quartiere dello Zen. Qualcuno ha pensato bene di staccargli la testa e usare un pezzo del busto per martellare una delle pareti della scuola. Cinque anni fa, quella stessa statua, era stata vittima di un altro atto vandalico che aveva colpito la memoria del giudice ucciso dalla mafia. Il fatto che tutto questo accada in uno dei quartieri più poveri (e mafiosi) della città di Palermo, aggiunge ovviamente un valore simbolico.
Sulla vigliaccheria di un gesto simile (e sulla preoccupazione per altri episodi simili che ieri sono stati raccontati) ieri hanno scritto tutte massime autorità dello Stato, oltre alle associazioni, i comitati e migliaia di cittadini.
Eppure sono convinto che Flacone ne avrebbe anche sorriso. Dopo la rabbia, la delusione, e tutto il resto. Avrebbe sorriso. In un Paese che lascia marcire le statue ingoiate dall’edera e che stampa targhette in bronzo per salvare i cognomi dall’oblio Giovanni Falcone, che sia di gesso, bronzo o di carta, incarna ancora quei valori che vengono visti che universalmente riconosciuti. E quindi ambiti anche per i vandali e per infami gesti dimostrativi.
Insomma Falcone è ancora Falcone. La sua storia nonostante tutto pulsa. Staccano la testa a Falcone perché il suo cuore funziona ancora. Questa è la buona notizia. Questa è l’eredità.