L'editoriale di Simona Maggiorelli è tratto dal numero di Left in edicola
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[su_divider text=" " style="dotted" divider_color="#d3cfcf"]Puntano a riformare la scuola in modo da far crescere obbedienti signorsì, non cittadini liberi e capaci di esercitare un controllo su chi li governa. Ci provano da oltre trent’anni. E più di recente con “innovazioni” come l’alternanza scuola lavoro, riducendo al minimo le materie umanistiche perché gli istituti tecnici siano sempre più tali, cancellando l’insegnamento della storia dell’arte (fu il colpo grosso della riforma Gelmini). Ora minacciano di manomettere le scuole superiori, riducendole a quattro anni di studi. Dai governi Berlusconi a quelli di Renzi e Gentiloni, senza soluzione di continuità, la scuola è stata depauperata di risorse, fiaccata nei programmi, svuotata di contenuti. Rincorrendo modelli americani che perfino Oltreoceano oggi sono considerati superati. L’obiettivo è chiaro: crescere operatori di catene produttive (anche se high tech), tecnici obbedienti, in possesso solo di un sapere parcellizzato. Ed è davvero scoraggiante che questo ennesimo, malsano, progetto di riforma annunciato come «sperimentazione» dal ministro della Pubblica istruzione, Valeria Fedeli, venga ancora una volta dal Pd. Dopo la Buona scuola di Renzi, che era tutto tranne quello che prometteva, eccoci alla scuola ridotta al lumicino. A dirla tutta non pensiamo che questo sciagurato progetto arrivi davvero in porto. Ma che un governo di centrosinistra l’abbia anche solo annunciato ci sembra un fatto assai preoccupante da leggere e analizzare a fondo. Anche perché abbiamo già alle spalle un percorso di trentennale, progressiva, “autonomia” della scuola, che si è tradotta in una progressiva perdita di qualità e contenuti. Che gli insegnanti hanno cercato di tamponare, nonostante siano fra le categorie più bistrattate e meno pagate in Italia. Perciò, conoscendo il rigore e l’impegno quotidiano di tantissimi docenti, abbiamo deciso di raccogliere le loro testimonianze. Non esprimono solo critiche ma avanzano articolate proposte che lasciano intravedere quella visione alta che, purtroppo, è mancata a tanti politici che negli anni si sono susseguiti alla guida del ministero della Pubblica istruzione. Doveroso era intervistare il ministro Fedeli come hanno fatto la collega Donatella Coccoli e il docente Giuseppe Benedetti con domande puntuali e incalzanti. Ma oltre a interrogare il ministro e le carte, abbiamo pensato che fosse importante dare spazio direttamente ai docenti, chiedendo di raccontarci la loro esperienza sul campo, che come ben documentano i loro contributi in queste pagine, va ben al di là degli standard. Siamo profondamente grati alle docenti Elisabetta Amalfitano e Paola Gramigni perché ci permettono di far conoscere ai lettori di Left una scuola che di solito non viene raccontata, in cui operano docenti impegnati nell’insegnamento e nella auto formazione continua (che i 500 euro della Buona scuola di certo non bastano a finanziare). Abbiamo conosciuto così professori che, insoddisfatti dalla ridda di manuali che escono ogni anno solo per necessità commerciali, hanno deciso di rimboccarsi le mani scrivendo insieme ad altri colleghi testi in dispense, più validi e approfonditi nei contenuti e insieme assai meno cari per le famiglie. Ma questa non è che una piccola parte di ciò che potrete scoprire leggendo questo numero. Le loro storie ci ridanno speranza e fiducia in una scuola che, nonostante la miopia della nostra classe politica, può rinascere dal basso, dall’auto organizzazione di docenti che sanno costruire rapporti veri e validi con gli studenti. Solo grazie al loro lavoro e alla loro competenza la scuola può diventare ciò che dovrebbe già essere: un baluardo contro i pregiudizi, contro il razzismo, contro il fondamentalismo religioso. Se la classe di governo italiana negli ultimi trent’anni non ha fatto altro che negare la Carta, disapplicandola, i suoi valori fondamentali circolano fra i banchi di scuola grazie a insegnanti che conoscono il valore della cultura, inteso come pensiero autonomo e critico, non come un insieme di nozioni, consapevoli che «la Repubblica è chiamata a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale… che impediscono il pieno sviluppo della persona umana».