“Ma quali torture e pena di morte, noi vogliamo solo che li arrestino e che quelle belve paghino per quello che hanno fatto. Per poi tornare a Rimini da turisti qualunque”. A dirlo è la turista polacca vittima dell’orrendo stupro di Rimini. Forse in giro questa frase l’avete letta poco, troppo poco. Molti quotidiani erano troppo concentrati a raccontarvi i particolari sessuali per acchiappare qualche clic. Questa frase che invece è aria fresca in questo momento così buio ha trovato poco spazio: del resto una donna ferita dallo stupro che dimostra più equilibrio di qualche segretario capopopolo di partito e di qualche direttore di giornale è una lezione che svela la loro grettezza morale.
Come ha detto la ragazza, dal suo letto di ospedale: “Le solite strumentalizzazioni politiche, da questo punto di vista la Polonia non è diversa dall’Italia”. E ha aggiunto: “Ora noi vogliamo solo voltare pagina, tornare alla normalità, al nostro lavoro, alla nostra vita quotidiana. E magari, tra qualche tempo, tornare in questa città meravigliosa”. Ecco, appunto.
Così anche il nonno di Sofia (la piccola deceduta all’ospedale di Trento per la malaria) ieri ha detto: “non accusate le bimbe africane”. E poi, con una misura superiore a tanti editorialisti indegni di appartenere alla categoria dei giornalisti, ha aggiunto: “Noi non accusiamo nessuno. Tocca ai medici dirci come e perché Sofia è stata uccisa dalla malaria. Forse però negli ospedali qualcosa va aggiornato”.
Ecco: siamo in un punto talmente basso che i sopravvissuti, ancora immersi nelle loro ferite, sono i portatori della analisi più lucide. Perché, ricordiamocelo, a questi non interessano le vittime: hanno solo un disperato bisogno di creare nemici per dare un senso al proprio abbaiare. Poi, davanti a un pensiero compiuto, si sciolgono.
Buon venerdì.
(p.s: Dei carabinieri sono stati accusati di stupro a Firenze. Usarli contro Salvini e compagnia è una vendetta, mica giustizia. Non diventiamo come loro)