L’obiettivo ufficiale è quello di contenere la spesa pubblica e migliorare il servizio. Ma dietro alla rivoluzione della sanità lombarda programmata dalla amministrazione di Maroni si celano numerose insidie che vanno contro gli interessi di milioni di pazienti

Dal diabete all’Alzheimer, dalla sclerosi multipla all’asma: sono 65 le patologie che in Lombardia, dai primi mesi del 2018, potranno essere curate non più dal medico di famiglia ma da cosiddetti “enti gestori”, scelti da una apposita lista che i cittadini possono consultare online. «Basta code, prenotazione delle visite mediche e ricerche dei luoghi di cura», con il nuovo modello «sarà il gestore a seguire e accompagnare il paziente, non il contrario», aveva annunciato l’assessore lombardo al welfare, Giulio Gallera, di Forza Italia, descrivendo quello che considera un successo per quanto riguarda la qualità del servizio.

Ma, dietro ad una apparente operazione di efficientamento, si nascondono rischi gravissimi per i pazienti ed interessi economici enormi. Che, ovviamente, fanno gola ai privati. Per comprendere fino in fondo questa vicenda, però, é necessario procedere per gradi. Innanzitutto, i potenziali interessati da questa riforma sono oltre tre milioni di cittadini, più del 30% della popolazione della Lombardia. Sono persone affette da malattie croniche che hanno bisogno di prestazioni complesse e prolungate che assorbono il 70% dei fondi destinati alla sanità regionale. Fondi che saranno dirottati ai 294 “enti gestori” ritenuti idonei in seguito a un’istruttoria delle otto Agenzie di tutela della salute (ex Asl) della Lombardia. I gestori, a loro volta, hanno già scelto di appoggiarsi a 1072 enti erogatori che forniranno materialmente le cure, anch’essi approvati dalle Ats lombarde.

Ma chi sono questi gestori? Si tratta di enti pubblici, certo, ma anche (e soprattutto) privati, oppure medici associati in cooperative. I quali non devono più solo essere in grado di offrire cure mediche. Il gestore, infatti, può arrivare a prendere in carico sino a 200mila pazienti contemporaneamente, e per ognuno di loro dovrà stipulare un contratto privato annuale, detto Patto di cura, sulla base del quale stilare un Piano di assistenza individuale (Pai), dove vengono specificate le prestazioni ritenute necessarie. Il tutto col sostegno di un case manager, un coordinatore che gestirà le richieste di tutta la mole dei pazienti.

Adesso, è plausibile immaginare che piccole cooperative di medici riusciranno a competere coi colossi multinazionali della salute nel fornire un servizio del genere? Che conseguenze potrebbero dunque esserci per i pazienti, per i quali si smaterializzerebbe il legame fiduciario col medico di base? E soprattutto, quale futuro prefigura questa riforma? «Solo una società privata può investire milioni in grandi compagnie di reclutamento, in spot televisivi per accaparrarsi pazienti, in manifesti pubblicitari esposti per strada. Quindi le cooperative di medici nel giro di un anno e mezzo saranno fuori dal mercato…

L’inchiesta di Leonardo Filippi prosegue su Left in edicola


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