Il 2018 inizia con tutta la profondità di un dibattito ancorato sui sacchetti biodegradabili per quanto riguarda la politica nazionale e con la gara a chi ha il pulsante nucleare più lungo tra i due facinorosi Trump e Kim Jong-un.
Da una parte si assiste impietriti alla rivolta popolare (o forse sarebbe il caso di scrivere “rumorosa protesta” se davvero vogliamo credere che sia rumore sociale ciò che gocciola dai social) di cittadini disperati che fotografano mandarini con l’ultimo modello di smartphone prevedendo la miseria per un “complotto” che dovrebbe logorarli a forza di spicci mentre, tanto per aggiungere tragica comicità alla tragicomica vicenda, il Pd risponde a suon di bufale (lo racconta bene Leonardo Filippi proprio qui su Left). E fa niente che proprio sulla frutta e verdura italiana il The Guardian (qui) ci invita a riflettere sullo schiavismo tutto italiano che è ormai parte integrante dell’economia della grande distribuzione.
Sul fronte internazionale invece ci si diverte a trasformare la tenzone tra Usa e Corea del nord in un reality show in cui i due presidenti diventano personaggi da sit com da citare al bar con il sorriso sulle labbra. La tattica del bullismo ridanciano (di cui qui in Italia siamo maestri assoluti negli ultimi decenni) sembra avere contagiato tutti: discutere di chi abbia il “pulsante più grosso” del resto è comodamente banale, simpatico e inutile come qualsiasi conversazione politica che si rispetti.
Eppure le due discussioni hanno tutte le caratteristiche per essere social: c’è la possibilità di dividersi per fazioni, si può esercitare un notevole tifo, si respira l’odore del complotto internazionale, si può tranquillamente evitare di approfondire e lanciarsi in frasi fatte e c’è tutto lo spazio per immaginare scenari apocalittici.
Intanto da due giorni si continua a discutere di questo. Così.
Buon giovedì.