Lei ne è sicura e, senza falsa modestia, annuncia: «È una scoperta che avrà un impatto mondiale». Lei è Anna Cereseto e dirige il Laboratorio di virologia molecolare del Cibio (Centro di biologia integrata), presso l’Università di Trento. E la scoperta ha sì un nome enigmatico – evoCas9 – ma ha un contenuto facile da capire: perché, sostiene ancora la ricercatrice trentina consente, alla bisogna, di tagliare, riparare e ricucire il Dna, «con una precisione assoluta».
Insomma, è la tecnica di gran lunga più precisa di editing genetico. O, se volete, di correzione del codice della vita. La scoperta è stata resa pubblica a fine gennaio sulla rivista specializzata Nature Biotechnology e, in effetti, sta già avendo un’eco planetaria. Perché promette, in un tempo indeterminato ma forse non lontanissimo, di realizzare un passo gigantesco nella “terapia genica” e, dunque, annuncia la possibilità di guarire da molte malattie causate da un tratto di Dna malato. Per avere un’idea di cosa stiamo parlando, basti ricordare che le malattie genetiche monofattoriali – cioè causate da un solo piccolo tratto di Dna “malato” – sono, a quanto ne sappiamo, almeno 5mila. Alcune rarissime. Molte letali.
Ma, prima di spiegare almeno per sommi capi cosa Anna Cereseto, alla testa di tre diverse equipe del Cibio, ha realizzato a Trento occorre introdurre un altro acronimo astruso, il Crispr (Clustered regularly interspaced palindromic repeats) dietro cui si cela una tecnica, scoperta di recente, appena nel 2012, anche se esiste in natura inventata dai batteri centinaia di milioni se non alcuni miliardi di anni fa proprio per correggere, quando necessario, il Dna “sbagliato” o, per dirla in termini più rigorosi, mutante.
Meno di sei anni fa i biologi si accorsero della presenza (nel Dna dei batteri) e delle potenzialità di questo sistema di “correzione di errori. Protagonisti della scoperta furono almeno due gruppi, uno facente capo a Jennifer Doudna, biochimica della University of California di Berkeley, aiutata da un’altra donna Emmanuelle Charpentier, e l’altro facente capo a Feng Zhang, un americano di origine cinese del Massachusetts institute of technology (Mit) di Boston. Insomma, due gruppi affiliati a due giganti della ricerca americana e mondiale. I due gruppi rivendicano ciascuno a sé la primogenitura della scoperta. E, dunque, il diritto a brevettare. In gioco c’è un oceano di quattrini. La vicenda è finita in tribunale e non è ancora risolta. Ma, al netto delle questioni giudiziarie, è certo che la scoperta sia essa di Jennifer Doudna e/o di Feng Zhang, è, come sostiene Anna Cereseto, «un’autentica rivoluzione». Perché, grazie ai geni Cas9, consente, per l’appunto, l’editing genetico.
La rivoluzione, come abbiamo detto, non nasce dal nulla. Il Crispr è, infatti, un’invenzione, magari primitiva, ma efficace, dello stesso Dna dei batteri per riconoscere al suo interno delle mutazioni pericolose e cancellarle. Il sistema di editing genetico dei batteri è costituito da alcune sequenze di basi che si ripetono lungo la catena del Dna. A queste unità ripetitive sono associati dei geni, chiamati Cas, portatori delle informazioni necessarie alla sintesi di enzimi capaci di tagliare il Dna nel punto dove c’è la mutazione, eliminare la base o la sequenza di basi mutanti e sostituirle con quelle canoniche. Quello che hanno fatto Jennifer Doudna e Feng Zhang, forse in maniera indipendente l’uno dall’altra, è aver messo a punto gli opportuni accorgimenti per trasformare il sistema CrisprCas9, in una “forbice universale” in grado di “riscrivere” il Dna appartenente a qualsiasi tipo di cellula: anche eucariote e, dunque, umane.
La tecnica Crispr/Cas9 di Jennifer Doudna e/o di Feng Zhang è rivoluzionaria non solo per questo. Ma anche perché è efficace, semplice da applicare – lo possono fare praticamente tutti – e molto economica. Sono già in commercio kit da non più di duecento dollari per praticare in casa l’editing genetico su lieviti e piante. La Crispr/Cas9 funziona in ogni organismo ed è stata usata a fini di ricerca e con successo non solo su lieviti e piante, ma anche su topi e cellule umane adulte. E, tuttavia, per quanto si sia sviluppata in tempi rapidissimi, c’è qualcosa che ancora non va. Almeno per praticare l’editing genetico sull’uomo e per curare molte delle sue malattie. La precisione della Crispr/Cas9 è alta, ma non è assoluta. A questo punto è chiaro qual è l’obiettivo della gran parte dei gruppi di ricerca che studiano la tecnica Crispr/Cas9: aumentarne la precisione.
Tra questi gruppi, a partire dal 2015, c’è anche quello di Trento diretto da Anna Ceresato. «A Trento – sosteneva non molto tempo fa – stiamo testando un nuovo approccio dedicato in particolare sulla cura della fibrosi cistica e dell’atrofia muscolare spinale, ma le possibili applicazioni della tecnica su altre malattie, in primis i tumori, sono numerose e interessanti». Sono settimane, quelle d’inizio 2015, in cui il dibattito intorno alla Crispr/Cas9 si accende e raggiunge il “calor bianco”. Alcuni accusano Doudna, Zhang e tutti gli altri di volersi “sostituire a Dio”, manipolando il codice della vita.
Il fatto è che il 16 marzo di quell’anno, un genetista cinese, Junjiu Huang, dell’università Sun Yat-sen di Guangzhou rende noto di aver utilizzato, con un gruppo di quindici collaboratori, la nuova (antica) tecnologia su embrioni umani proprio per verificare se può essere utilizzata come terapia genica. In particolare per far guarire da una malattia nota e diffusa: la beta-talassemia. In pratica Huang e i suoi hanno utilizzato 86 zigoti nel tentativo di eliminare le mutazioni del gene Hbb che causano la malattia o l’intero gene mutante. I numeri parlano chiaro. Degli 86 zigoti cui è stato iniettato il Crispr/Cas9, dopo 48 ore (il tempo necessario perché il sistema tagli e riscriva il Dna “sbagliato”) solo 71 sopravvivono. Di questi 54 sono testati geneticamente, rilevando che solo 28 (meno del 35% del totale iniziale) sono stati correttamente “riscritti”. Un numero non certo bassissimo in laboratorio, ma molto lontano da quel 100% di cui c’è bisogno, riconosce lo stesso Huang, perché il Crispr/Cas9 diventi uno strumento da utilizzare nella clinica medica.
Ancora nel marzo del 2015, dunque, mentre a Trento Anna e i suoi si mettono al lavoro, il grande tema è: come migliorare la precisione della tecnica fino a renderla assoluta.
Il gruppo italiano inizia a lavorare a questo obiettivo avendo il lievito come organismo modello. Le opzioni sul tavolo per ridurre la frequenza degli errori del “taglia e cuci” sono tre, affinare le modalità con cui il sistema Crispr è iniettato nelle cellule e stando attenti a che resti nell’ambiente cellulare solo il tempo strettamente necessario per “tagliare e cucire” nel luogo e nel modo desiderati; trovare un modo per far sì che il sistema Crispr punti direttamente al punto giusto. A Trento individuano una sorta di molecola pilota di Rna; rendere più intelligenti le forbici, vale a dire i geni Cas, in modo che taglino con assoluta precisione e rapidità lì e solo lì dove devono farlo. Anche in questo caso la creatività trentina ha successo: piccole modifiche alle forbici microscopiche le rendono di gran lunga più precise.
Già, ma come fa Anna Ceresato a scoprire quel è il modo migliore per rendere più efficaci le forbici? È qui la grande intuizione. Lasciando lavorare la selezione naturale di darwiniana memoria. In pratica Ceresato e i suoi collaboratori hanno lasciato che il sistema Cas potesse evolvere, mutando in provetta. E di volta in volta hanno selezionato le nuove varianti più efficienti. La selezione è facile (si fa per dire) da operare, perché le cellule di lievito che subiscono i “tagli giusti e le giuste ricuciture” si colorano di rosso, mentre quelle dove l’operazione è sbagliata diventano bianche. Basta, dunque, selezionare il sistema Cas9 – anzi evo Cas9, il Cas 9 evolutivo – presente nelle cellule rosse. Alla fine del processo di selezione naturale, le varianti evoCas9 selezionate presentano tasso di errori del 99% inferiore a quelli di tutti gli altri sistemi finora utilizzati.
«Sì, abbiamo fatto compiere un grande passo avanti all’editing genetico», dichiara soddisfatta Anna Ceresato. Dunque presto potremo la tecnica diventerà uno strumento di pratica clinica? «È meglio non fare previsioni, perché la ricerca spesso presenta imprevisti. Tuttavia confido che non passeranno molti anni prima che ecoCas9 e le sue successive evoluzioni saranno utilizzate per guarire le persone».
Tanta prudenza è d’obbligo. Ma un fatto è certo. In poche settimane due ricercatrici italiane, Marica Branchesi con le onde gravitazionali e ora Anna Cereseto con evoCas9, hanno assunto una visibilità planetaria. Segno che la ricerca italiana, malgradi i tanti ostacoli che deve superare e la penuria di risorse, è di valore assoluto. E segno che oggi, a trainarla, sono anche e soprattutto le donne.