Per approfondire, Left n. 18 del 4 maggio
[su_button url="https://left.it/left-n-18-4-maggio-2018/" background="#a39f9f" size="7"]SOMMARIO[/su_button] [su_button url="https://left.it/prodotto/left-14-2018-4-maggio/" target="blank" background="#ec0e0e" size="7"]ACQUISTA[/su_button]
[su_divider text=" " style="dotted" divider_color="#d3cfcf"]«Quali risorse finanziarie e tecniche Eni pensa di mettere in campo per intervenire efficacemente e concretamente sul piano della tutela ambientale e sanitaria della popolazione in Val d’Agri?». Domenico Nardozza oltre a essere videomaker e autore insieme al sociologo Davide Bubbico di un saggio su Le estrazioni petrolifere in Basilicata tra opposizione e interventi di compensazione (Franco Angeli ed.), è un azionista Eni. Ed è in virtù di ciò che è intervenuto con questa domanda all’assemblea degli azionisti che si è svolta a Roma il 10 maggio, portando al centro del dibattito pomeridiano il tema dell’invasività della multinazionale italiana sulla vita delle persone e sull’ambiente. Secondo Nardozza, in Basilicata l’Eni dimostra di avere scarso interesse o quanto meno di mettere in secondo piano gli “effetti collaterali” della sua attività estrattiva. «I lucani – osserva l’attivista – hanno perso completamente fiducia nell’azienda. E questo malcontento non riguarda la “naturale” propensione a ricavare un profitto da parte dell’Eni, cosa normale per un’impresa privata. Molto più probabilmente dipende, ad esempio, dal fatto che lo sfruttamento delle risorse della Val d’Agri non genera un equivalente risposta qualitativa e quantitativa a livello occupazionale per la popolazione e per l’indotto locale. Lo si evince dalla prevalenza di contratti a termine e da una concentrazione della manodopera locale nelle attività a più basso valore aggiunto».
Ma non è solo questo a preoccupare i lucani della val d’Agri. Ecco cosa ha riferito un altro azionista, Domenico Mele, autore di una Valutazione di impatto sanitario nei due comuni che cingono il centro Cova dell’Eni nella Val d’Agri, Viggiano e Grumento Nova. «Lo studio micro geografico condotto – racconta Mele – ha riscontrato un aumento della mortalità nelle donne per le malattie del sistema circolatorio del 63%, con una mortalità tra donne e uomini del 41%. La valutazione ha dimostrato la fortissima associazione di rischio tra le emissioni dell’impianto e le patologie cardiovascolari e respiratorie con un aumento del 19% della mortalità delle donne per tutte le cause e del 15% di donne e uomini. In Val d’Agri ci sono a tratti emissioni di sostanze nocive 20 volte rispetto a quelle registrate a Taranto». A sostegno delle sue conclusioni Mele ha citato alcuni enti che hanno preso parte allo studio, tra cui il Cnr di Pisa e l’università di Bari, puntando il dito contro il silenzio dell’azienda: «La nostra ricerca non ha provocato alcuna reazione da parte dell’Eni, non c’è stato alcun dialogo. Anzi si è tentato di demolire il lavoro probabilmente perché i risultati non sono stati quelli sperati».
In mattinata, l’assemblea era stata aperta dalla presidente dell’Eni, Emma Marcegaglia. Ed effettivamente considerando il tenore degli interventi pomeridiani per lunghi tratti nell’arco della giornata è sembrato di assistere a un dialogo tra sordi. Il focus della relazione della Marcegaglia, a parte le considerazioni sullo stato di salute dell’economia mondiale, ha riguardato le vicende giudiziarie in cui è coinvolta l’Eni. Facendo il punto sulle accuse di corruzione nei confronti di Saipem in Algeria, e quelle relative all’acquisizione del blocco petrolifero Opl 245 in Nigeria (vedi Left n. 18 del 4 maggio 2018), oltre alle indagini in corso sulle licenze petrolifere in Congo e al presunto depistaggio che vede coinvolto il Chief development and Technology officer. Per ognuno dei casi, ha spiegato Marcegaglia, «sono state svolte o sono state incaricate profonde verifiche interne, anche con l’assistenza di consulenti esterni indipendenti». L’Eni si dichiara dunque completamente estranea ai fatti imputati. E la Basilicata? Nessun accenno è stato fatto dalla presidente circa le indagini che coinvolgono l’Eni per presunto disastro ambientale in quello che è ribattezzato il “Texas d’Italia”, appunto la Val d’Agri. Un silenzio che la dice lunga proprio nel giorno in cui esponenti della società civile lucana hanno fatto sentire per la prima volta la propria voce in qualità di azionisti, avendo acquistato alcune azioni – 4, 5 o dieci -, al solo scopo di poter intervenire mettendo in pratica un «azionariato critico» al cospetto diretto della dirigenza Eni e di fronte agli azionisti di maggioranza. Era cosa nota, eppure la Basilicata che da decenni deve fare i conti con un intenso sfruttamento delle sue risorse petrolifere, è stata completamente assente anche nel successivo intervento dell’amministratore delegato Claudio Descalzi.
Ma torniamo al pomeriggio e agli interventi degli azionisti che meritano particolare menzione. C’è stato per esempio quello di Alberto Grotti, ex dirigente Eni finito in carcere per il caso Enimont, che ha voluto sottolineare la «disarmante disinvoltura» con cui i dirigenti si muovono tra indagini e processi. Infine, il breve ma interessante discorso di alcuni attivisti nigeriani, che hanno portato all’attenzione degli azionisti la «mancata prudenza» da parte della società nelle operazioni che hanno coinvolto il governo di Abuja. È stato fatto riferimento anche alla comunità Ikebiri, che ha citato in giudizio a Milano l’Eni e una sua controllata (la Naoc) per uno sversamento di petrolio nel delta del Niger (vedi Left del 4 maggio 2018); oltre che, questa volta da parte di Re:Common sul caso Congo e su ulteriori controversie della società in Mozambico. Ma anche in questo caso nessuna risposta. Da segnalare in conclusione un laconico Descalzi che nel chiudere l’assemblea ha promesso di far visita quanto prima in Basilicata.