L'editoriale di Simona Maggiorelli è tratto da Left in edicola
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[su_divider text=" " style="dotted" divider_color="#d3cfcf"]Torna alla ribalta il governo Legastellato. Come se nulla fosse torna l’«avvocato del popolo» Giuseppe Conte, seguace di padre Pio e difensore del metodo antiscientifico Stamina. Si torna al via come nel gioco dell’oca. Come se Di Maio non avesse mai gridato all’impeachment del presidente della Repubblica Mattarella. Fra i ministri, Moavero Milanesi agli Esteri e Giovanni Tria all’Economia (favorevole alla Flat tax, pensa ad aumentare l’Iva, ha scritto il programma di Forza Italia non ha mai ipotizzato il piano B dall’uscita dall’Euro come invece ha fatto Savona, al quale tuttavia va il ministero degli Affari europei).
Il governo politico ma con molti tecnici è pronto a partire con l’appoggio esterno di Fratelli d’Italia, che pesa molto soprattutto al Senato. Quello che si prefigura dunque è un governo giallonero, con una strizzatina d’occhio ai neoliberisti, con l’ingaggio del professor Moavero Milanesi che è già stato Ministro per gli Affari Europei nel governo Letta, dopo aver ricoperto il medesimo ruolo nel precedente governo Monti.
Un pensiero va a quell’elettorato di sinistra che ha votato CinqueStelle e che ora si ritrova ad aver dato il proprio via libera a un possibile governo con la Lega xenofoba e l’appoggio esterno dei nerissimi Fratelli d’Italia. Nel corso delle ultime ore era anche stato ipotizzato che Giorgia Meloni potesse andare a guidare il ministero della Difesa. Ipotesi da far tremare le vene e i polsi, poi per fortuna sfumata. Resta il fatto che Salvini chiede per sé il ministero dell’Interno, promettendo ruspe contro i rom, deportazione di mezzo milione di migranti, giustizia fai da te (chiamata legittima difesa) e molto altro.
Nel frattempo c’è ancora chi accusa il presidente della Repubblica di aver leso i diritti del popolo sovrano, di cui Salvini e Di Maio si sono auto nominati portavoce. Non considerando che del popolo italiano fanno parte non solo coloro che hanno votato Lega (17,4%) e Cinque Stelle (32%) ma anche chi ha votato per altri partiti e chi si è astenuto (che sommati fanno all’incirca il 65% degli aventi diritto). La Costituzione dice all’articolo 1 che il popolo esercita la propria sovranità «nelle forme e nei limiti della Costituzione». Non possiamo far finta di non saperlo.
Parlare di Costituzione significa parlare di uguaglianza, lavoro, libertà, laicità, diritto alla salute, diritto all’istruzione, dignità della persona e di molti altri valori che, torniamo a ripeterlo, sono largamente calpestati nel contratto di governo giallonero.
L’economista Cottarelli di certo non avrebbe rappresentato il nuovo (così non lo rappresentano Tria e Moavero Milanesi). Carlo Cottarelli sarebbe stato un Monti 2.0, pronto a imporre le solite fallimentari ricette neoliberiste e di austerity. Al contempo, il carico di violenza xenofoba della Lega che strizza l’occhio a CasaPound di certo non rappresenta una garanzia democratica, né tanto meno di conquista di diritti da parte dei ceti popolari. Basta pensare alla flat tax che porta vantaggi soprattutto ai più ricchi. Come ben noto, Salvini rappresenta gli interessi degli imprenditori dei distretti industriali, dove la Lega ha fatto il pieno di voti. Nemmeno facendo un totale blackout su tutti i provvedimenti neoliberisti che la Lega ha votato in passato, potrebbe essere scambiato per un paladino del popolo «contro la dittatura dello spread» (ipse dixit).
Né sovranisti né neoliberisti abbiamo scritto la scorsa settimana, fiutando che la battaglia si sarebbe giocata fra le destre in un braccio di ferro con l’Europa, a discapito della democrazia rappresentativa e costituzionale. L’Unione europea è solo una unione dei mercati quanto mai lontana dall’incarnare i nostri ideali, ma trasformabile, se la sinistra si decidesse a cercare un nuovo internazionalismo e in Italia a rialzare la testa e fare seria opposizione. Che certo non può essere rappresentata in Italia da quel centrosinistra che ha cercato di manomettere la Costituzione con la pessima riforma Renzi-Boschi-Verdini, sonoramente bocciata dal referendum del 4 dicembre 2016.