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[su_divider text=" " style="dotted" divider_color="#d3cfcf"]Caso Cucchi, due sono le novità: l’interrogatorio fino a notte fonda di un ennesimo carabiniere spuntato dopo nove anni alla ribalta processuale e il j’accuse di Ilaria Cucchi contro il generale dell’Arma dei Carabinieri Nistri che si starebbe apprestando a punire gli artefici del crollo del muro di omertà piuttosto che rimettere mano su un modello che non solo produce abusi ma è una macchina per insabbiarli e depistare. Left è appena sbarcato in edicola con una copertina dedicata a questa storia, nel tentativo di raccontarla senza suscitare pena, senza concentrarsi solo sulla compassione per una famiglia devastata dal dolore ma provando a capire il cocktail di proibizionismo, militarismo, malasanità, razzismo, carcere e malapolizia che ci viene somministrato ogni giorno e dentro cui si producono storie che non dovrebbero accadere mai più. Ci interroghiamo sul modello di addestramento, su quello che accade quando si verifica un abuso in divisa e su come si può resistere. Siamo in edicola proprio nella settimana degli anniversari di quei sei giorni dal 16 al 22 ottobre del 2009, in cui un ragazzo di una periferia romana venne arrestato per il possesso di una ventina di grammi di hashish e poi morì paralizzato e disidratato, nascosto dal mondo in un letto di ospedale.
Dunque, la sera del 18 ottobre, è stato interrogato per oltre sette ore a piazzale Clodio il luogotenente Massimiliano Colombo, comandante della stazione dei Carabinieri di Tor Sapienza. Colombo, indagato per falso ideologico, è arrivato in Procura accompagnato dal suo legale Antonio Buttazzo ed è stato sentito per ore dal pm Giovanni Musarò. A chiamare in causa il luogotenente, anche se non direttamente, è stato Francesco Di Sano, il carabiniere scelto della caserma di Tor Sapienza che ebbe in custodia Cucchi e che è stato ascoltato in aula il 17 aprile scorso nel processo a cinque militari dell’Arma (accusati a vario titolo di omicidio preterintenzionale, falso e calunnia). In quell’occasione il militare, ora indagato anche lui per falso, ammise di aver dovuto ritoccare il verbale sullo stato di salute di Cucchi senza precisare da chi gli fu chiesta la modifica. L’atto istruttorio è stato secretato.
Nelle stesse ore Ilaria Cucchi, in una conferenza stampa, aveva accusato il generale Nistri: «Ora il generale vuole colpire tutti coloro che hanno parlato». Il giorno prima, Ilaria aveva incontrato il comandante generale dell’Arma dei carabinieri al ministero della Difesa alla presenza del ministro Elisabetta Trenta, uno delle tante personalità che, in questi anni, non si sono fatte mancare l’occasione di un selfie con la sorella di una vittima di abusi. «Dal generale Nistri mi sarei aspettata non dico delle scuse, perché avrebbe potuto essere per lui troppo imbarazzante, ma certo non 45 minuti di sproloquio contro Casamassima, Rosati e Tedesco, gli unici tre pubblici ufficiali che hanno deciso di rompere il muro di omertà nel mio processo», ha spiegato la sorella del geometra morto nel 2009 assieme al suo legale Fabio Anselmo.
Ilaria Cucchi è voluta intervenire in difesa di Riccardo Casamassima e la moglie, Maria Rosati, entrambi carabinieri, che con le loro dichiarazioni hanno permesso la riapertura del processo, e di Francesco Tedesco, il quale ha accusato del pestaggio di Cucchi i coimputati Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro. «L’unica cosa che Nistri si è sentito di dirmi è che gli unici testimoni che hanno avuto il coraggio di rompere l’omertà verranno puniti con procedimenti disciplinari». Alla ministra Trenta, invece, ha chiesto aiuto «contro i post infamanti e violenti su pagine di Facebook in gran parte gestiti da appartenenti a polizia e carabinieri». L’intervista a Charlie Barnao, a pagina 16 del numero in edicola, è utile per capire le ragioni di certi atteggiamenti da parte di appartenenti alle forze dell’ordine. Proprio la ministra, però, ha voluto gettare acqua sul fuoco con un post in cui afferma che «Nistri non ha portato avanti alcun sproloquio e non ha manifestato nei confronti di nessuno pregiudizi punitivi. Se lo avesse fatto sarei intervenuta! Semplicemente, ha rimarcato l’obbligo per tutti i gradi al rispetto delle regole, il che rientra nelle sue prerogative di Comandante». Ma è proprio alla catena gerarchica che ora punta la Procura dopo che la testimonianza di Tedesco ha dato impulso ai nuovi accertamenti.
Ora, oltre agli esiti dell’inchiesta, sono attese anche le risultanze dei procedimenti disciplinari nei confronti di Casamassima e Rosati e anche dei tre carabinieri imputati per omicidio preterintenzionale, compreso Tedesco. I provvedimenti, che potrebbero riguardare la destituzione o la sospensione dal Corpo, per il reato di abuso di autorità (già prescritto) sono stati notificati nel luglio scorso, il giorno dopo l’interrogatorio di Tedesco al quale ne fu data notizia mentre andava a rendere la sua testimonianza. A parlare di «anticipazione illegittima e ingiustificata» sull’esito dei provvedimenti è stato anche Eugenio Pini, legale di Tedesco.
Ma è proprio a questi carabinieri che dobbiamo un processo negato per anni dopo un proclama dell’allora ministro La Russa che assolveva a priori l’Arma già sconvolta all’epoca, proprio a Roma, dallo scandalo di alcuni militari che volevano ricattare l’allora Governatore Marrazzo e dal flop di alcune inchieste come quella per gli stupri della Caffarella.
È utile ricapitolare i sette falsi che sono stati accertati in questa storia: furono manomessi il verbale di arresto e perquisizione, il registro del fotosegnalamento, artefatte le annotazioni di servizio della caserma dove Cucchi passò la notte per celare le conseguenze del pestaggio, fu impedita la nomina del legale che Stefano aveva indicato, sulle carte che arrivarono all’udienza di convalida c’era scritto che era albanese e senza fissa dimora, fu falsificato il registro che custodiva il rapporto stilato da Tedesco sei giorni dopo il pestaggio, alla notizia della morte di Cucchi, e perfino le sequenze informatiche dei protocolli interni sarebbero state manomesse. Seguì una riunione collegiale tra tutti i coinvolti e i loro superiori che doveva servire a cementare tutti attorno a una versione condivisa. E le consuete dosi da cavallo di retorica sulla benemerita.
Se abbiamo voluto dedicare la copertina a Ilaria Cucchi è per illuminare tutte le storie di “malapolizia”, perché si trovi il modo, insieme, perché non succeda mai più.