Si andrebbe verso una analisi tecnica negativa sui costi-benefici per la Tav. L’analisi è contenuta nella relazione consegnata al governo, definita ancora una «bozza preliminare». La notizia arriva da fonti dell’esecutivo, al termine del vertice svoltosi nella notte tra il 9 e il 10 gennaio a Palazzo Chigi sul tema dei migranti. Le stesse fonti precisano che nessuna decisione è ad oggi presa: si prende ancora tempo. Nel governo si confrontano le linee del M5s, che ufficialmente vuole lo stop dell’opera, e della Lega, che è invece è favorevole alle grandi e devastanti opere, in buona compagnia del Pd e Forza Italia, amplificati dai rispettivi giornali di riferimento. Su questa e altre questioni si accende, dopo l’approvazione della controversa manovra, la conflittualità fra il giallo e il nero della tavolozza di governo a uso e consumo della campagna elettorale per le europee di maggio. Entrambi i partner di maggioranza sono impegnati, in parallelo, nella ricerca di alleanze continentali per la tornata del 26 maggio.
Dal mattino presto le dichiarazioni dei vicepremier: «Al governo si discute, anche sulle infrastrutture. Io sono a favore di nuove strade e ferrovie. La Tap, ad esempio, è in corso di lavorazione. Sono a favore della Tav e affinché vada avanti. Se l’analisi dei tecnici sulla Tav fosse negativa, nessuno di noi vorrebbe né potrebbe fermare una richiesta di referendum», dice il vicepremier, Matteo Salvini, a Rtl 102.5. E l’omologo Di Maio, prima di lui a Radio Anch’io: «Non ho letto la relazione sulla Tav, che è preliminare e per ora è stata consegnata solo al Mit. Ci sarà un contraddittorio con le associazioni e con i comitati pro e contro l’opera. Aspettiamo, saranno i tecnici a parlare. Aspettiamo il dato ufficiale, i tecnici dovranno parlare e dire se quell’opera è un buon investimento». Il Movimento, ha aggiunto, «è contro quell’opera» e quelle risorse potrebbero essere utilizzate per migliorare la mobilità cittadina.
Insomma, è un giallo la conclusione dell’analisi costi-benefici sulla Tav Torino-Lione, la scappatoia utilizzata nell’impossibilità per i grillini di inserire il no all’alta velocità nel contratto di governo. È stato uno degli esperti nominati dal governo nella commissione, il professor Marco Ponti, ad aver anticipato, ieri pomeriggio, che la documentazione era stata consegnata al governo. Ma il ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture, quello di Toninelli, è subito intervenuto per precisare: «Il documento ricevuto dal professor Ponti e dalla sua task force è una bozza preliminare di analisi costi-benefici sul Tav Torino-Lione e che è allo studio della Struttura tecnica di missione del Mit per un vaglio di conformità rispetto alle deleghe affidate ai consulenti del ministero». Ma il Mit ha precisato, inoltre, «che l’analisi di carattere tecnico-economico e la parallela analisi giuridica andranno doverosamente condivise con la Francia, la Commissione Ue e in seno al governo, prima della loro pubblicazione».
«Abbiamo consegnato l’analisi, auspico che i dati escano e siano criticati il più presto possibile», ha detto Ponti, esperto di Economia e Pianificazione dei Trasporti, in un confronto televisivo, a SkyTg24, con il presidente della Regione Piemonte Sergio Chiamparino (Pd), che sul sì alla Tav vuole giocarsi la cifra della campagna per le imminenti elezioni in Piemonte alla testa di un fronte che potrebbe spaziare da Confindustria a Sinistra italiana e pezzi di Cgil, passando per le madamine. Sabato prossimo il fronte favorevole al Tav tornerà a manifestarsi a Torino stavolta con Chiamparino stesso in testa. «Io parlo con i numeri – ha sottolineato Ponti – non sarò mai No Tav a priori per motivi ideologici, altrimenti perderei totalmente la faccia. E l’analisi costi-benefici vale per tutta la collettività, per questo sono stati considerati anche i costi in carico alla Francia: oggi l’opera intera costa tra i 10,5 e gli 11 miliardi di euro». Chiamparino ha ribadito il costo per l’Italia: «Sulla base dell’accordo aggiornato nel 2017 – ha detto il presidente del Piemonte – è di 4 miliardi e 739 milioni, di cui 1,7 per la tratta nazionale. In ogni caso, dopo l’annuncio del professor Ponti non c’è più motivo di differire ancora la decisione sulla Torino-Lione».
«La decisione deve essere di carattere politico e strategico e guardare ai benefici che porterà al territorio per i prossimi 100 anni e al ruolo che si vuole assegnare al trasporto su rotaia», chiede Confindustria piemontese. L’Api Torino, capofila del sistema di imprese che sostiene la realizzazione della nuova linea ferroviaria, accusa il governo di tenere «un comportamento vergognoso. Continua ad allungare il brodo. C’è una legge dello Stato che va applicata – rimarca il presidente Corrado Alberto – se decidono di non fare la Torino-Lione, vadano in Parlamento e votino una nuova legge. Tutto il resto sono chiacchiere e fuffa». E se Chiamparino già tempo fa ha detto che il Piemonte è pronto a farsi carico di realizzare la Tav nel caso esca una fumata nera da Palazzo Chigi, sulla stessa lunghezza d’onda è Forza Italia Piemonte: «Se sarà no, siamo pronti alla Piemontexit delle infrastrutture. E si decreterà una frattura insanabile tra lo Stato e il Piemonte». Mino Giachino, leader dell’associazione SìLavoro, punge il professor Ponti: «È evidente che non ha conteggiato i benefici, anche perché non ha esperienza di logistica e turismo. Se l’esito dell’analisi sarà un No, manifesteremo ovunque».
Lo scontro sarà durissimo, ma il movimento No Tav, dopo «un altro anno della nostra storia. Un altro anno senza un centimetro di Tav», ha incassato il successo della manifestazione dell’8 dicembre scorso quando decine di migliaia di persone (molte, ma molte di più di quante risposero all’appello delle madamine) hanno festeggiato la Giornata mondiale contro le grandi e devastanti opere. La reale analisi costi-benefici è stata realizzata da tempo, con un lungo lavoro di ricerca che ha accompagnato la costruzione del movimento e la lotta alla durissima repressione che la Procura di Torino, spesso smentita dalla Cassazione, conduce senza esclusione di mezzi contro la cittadinanza della Val Susa.
Era stato un Matteo Salvini furioso a invocare un «chiarimento». Per questo il vertice a notte fonda: così, lamentano dalla Lega, il governo rischia di non durare ancora a lungo. Il ministro dell’Interno è stato scavalcato da Giuseppe Conte – in asse con Luigi Di Maio – e dal suo impegno ad accogliere una parte dei migranti sbarcati a Malta dopo 19 giorni in balia delle onde. E ora è determinato a farlo pesare agli alleati. Lo ha fatto capire mettendo anche in discussione il reddito di cittadinanza, misura tanto vitale per il M5s quanto indigesta ai leghisti: il decreto era pronto e ora invece rischia di slittare. Così come torna al centro di un braccio di ferro durissimo la Tav: fermare l’opera ha costi troppo elevati, avvertono i leghisti, e il prezzo che si rischia di pagare con la Francia è lo stop all’operazione Fincantieri-Stx.
Tra i pentastellati si teme però che l’irritazione di Salvini sui migranti diventi la leva per scardinare il reddito di cittadinanza e magari pure frenare la nomina di Marcello Minenna alla Consob su cui Di Maio vorrebbe chiudere. M5s prova a tenere i dossier separati. Alla Lega, che al tavolo del “decretone” su reddito e pensioni chiede un intervento per alzare le pensioni di invalidità e rendere più vantaggioso il reddito alle famiglie numerose, gli uomini di Di Maio replicano che il meccanismo già prevede per i disabili «sotto la soglia di povertà» l’aumento delle pensioni. Un passo in più, aggiungono, si farà grazie al «tesoretto» ricavato dalle limitazioni del reddito agli stranieri. Ma la trattativa tra i sottosegretari di M5s e Lega è proseguita per tutto il pomeriggio di ieri a Palazzo Chigi. Le risorse sono scarse e rimettere mano a un aspetto del decreto si ripercuote a cascata sugli altri. È difficile che il testo arrivi in Cdm giovedì pomeriggio, domani, come programmato: più probabile che slitti a venerdì (o alla prossima settimana).
Nel braccio di ferro con la Lega, M5s ritiene di poter incidere sulla legittima difesa in Parlamento. Inoltre, aver inserito “quota 100” sulle pensioni nel decreto sul reddito fa sì che se la Lega blocca, si ferma tutto. Dalla sua Salvini deve fare i conti con i dubbi e le resistenze del Nord e del fronte guidato dai tre governatori leghisti di Lombardia, Veneto e Friuli Venezia Giulia, che scendono in campo per incitare il loro leader a non mollare, a partire dai migranti, per non archiviare la Tav e non rischiare una ritorsione francese su Fincantieri: la battaglia tra alleati sul dossier si annuncia durissima.
Salvini assicura che il governo non cadrà. Ma è in un’atmosfera gelida, da pre-crisi, che in nottata Conte, Di Maio e Salvini si sono seduti al tavolo di Palazzo Chigi. Basta anche con iniziative, del tutto propagandistiche ma necessarie come il pane per una forza politica che si sta caratterizzando per i voltafaccia, come la proposta di legge M5s sulla legalizzazione della cannabis: «Non è condivisa e sembra una provocazione», si infuria il ministro Lorenzo Fontana, ultras cattolico e ultras del Verona, di cui Left s’è occupato alla fine di settembre.