Giurista, accademico italiano, docente della Normale di Pisa e giudice emerito della Corte costituzionale, Sabino Cassese è voce autorevole e lontana dalla bagarre politica attuale. Quando è passata anche al Senato la stretta autoritaria contenuta nel decreto sicurezza bis (che incurante dell’articolo 10 della Carta e del diritto internazionale criminalizza la migrazione e punisce le Ong che prestano soccorso) abbiamo chiesto al professore di aiutarci a comprendere i rischi che corre la democrazia italiana ai tempi del governo giallonero. Ma anche, alla luce del suo ultimo libro Il popolo e i suoi rappresentanti, di aiutarci a rintracciare le radici della crisi che la democrazia rappresentativa sta attraversando.
Professor Cassese come valuta questa seconda legge sulla sicurezza?
Sproporzionata rispetto alla situazione della sicurezza in Italia. Secondo le statistiche, l’Italia è un Paese relativamente più sicuro di altri. C’era bisogno di due leggi sulla sicurezza in un anno? C’è poi da chiedersi: è una norma legittima costituzionalmente e per il diritto internazionale? Ci sono bisogni di prevenzione che non sono soddisfatti da questa legge? La mia risposta – per ora provvisoria – è che la legge risponde più a esigenze elettorali della Lega che a bisogni sociali. Più in generale, l’enfasi posta sul tema della sicurezza è un fatto negativo: ha valore retorico-politico. Ripeto, la sicurezza in Italia è maggiore che in molti altri Paesi. Accentuare la preoccupazione per questo tema serve fondamentalmente a Matteo Salvini per raccogliere altri voti, facendo uso delle preoccupazioni che egli stesso alimenta con la sua “narrazione” delle condizioni del nostro Paese.
Il leaderismo e l’assenza di democrazia all’interno dei partiti sono due patologie che si esprimono al massimo nelle due forze di governo che pretendono di parlare a nome del popolo?
Purtroppo l’assenza di democrazia interna riguarda tutti i partiti. Basti pensare al ricorso alle cosiddette primarie. Riprendendo un istituto che era stato introdotto negli Stati Uniti proprio per contrastare la sclerotizzazione dei partiti, le primarie hanno supplito all’assenza di democrazia interna dei partiti. Ma, in questo modo, a una vita democratica continua nel partito si è sostituita una democrazia per lo più quinquennale, concentrata in un giorno.
Nel suo nuovo libro Il popolo e i suoi rappresentanti tratta una questione cardine oggi: la crisi della rappresentanza. Come si è determinata?
Con il passaggio dal suffragio ristretto al suffragio universale vi è stato bisogno dei partiti come tramite dei rapporti tra società e Stato. Quando i partiti sono entrati in crisi, questi rapporti sono a loro volta entrati in crisi.
In un passaggio del libro riporta che l’iscrizione ai partiti nel 1948 era otto volte maggiore rispetto ad oggi, benché fossimo 10milioni in meno. Qual è la causa della dissoluzione dei partiti tradizionali?
La storia dei partiti nel nostro Paese attraversa diverse fasi. La prima è quella costitutiva, che trova il suo acme nel periodo del secondo dopoguerra con una massiccia partecipazione dei cittadini ai partiti, partecipazione che si manifestava sia con le iscrizioni sia con la presenza nelle sezioni locali dei partiti. Poi i partiti sono diventati sempre più “chiese”, la democrazia interna dei partiti è andata diminuendo. Si è verificato quindi un paradosso: i partiti, strumento della democrazia, non erano a loro volta democratici al loro interno. Di qui la crisi e la trasformazione dei partiti da associazioni a ristrette camarille.
Lei ha scritto un importante libro sullo Stato fascista. Lo storico Luciano Canfora parla di proto fascismo oggi riferendosi non solo alle azioni squadriste di movimenti come CasaPound e Forza nuova, cosa ne pensa?
Non credo che si debba evocare il tema del fascismo. Anche questo finisce per nutrire preoccupazioni alimentate dalla Lega.
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