Dice Di Maio ai suoi che la sua nomina a vicepresidente del consiglio non è una questione personale ma è una questione politica. Usando proprio queste parole. Quale sia la questione politica lo spiega lui stesso: “Se non sono vicepremier perdo la guida del Movimento”, ha detto Di Maio. In pratica vorrebbe convincerci che il suo posizionamento all’interno del Movimento 5 Stelle sia un problema nostro, di tutti noi, del Paese, degli elettori e di tutti quelli che si aspettano dalla politica (di qualsiasi parte siano) sensibili miglioramenti per la propria vita. Il problema politico è il suo peso all’interno del Movimento.
Basterebbe questo se non ci fosse addirittura Beppe Grillo a dirlo chiaro e tondo. Chiaro e tondo proprio no, in verità: giocando molto di sponda, proprio quel Grillo che si vantava di dire le cose come stanno. Ma vabbè. E come se non bastasse perfino Marco Travaglio ha deciso di bastonare Di Maio. Non manca proprio nessuno, solo due liocorni.
Ma la sensazione vera è che il gioco di Di Maio sia proprio questo: prendere nel governo giallorosso il posto che fu di Salvini fino a qualche giorno fa. Vorrebbe essere colui che si fa notare suonando le note più alte e più forti e invece è solo una stonatura in giacca e cravatta. Anche perché, e dovremmo avere il coraggio di dirlo, se il problema politico è il suo posizionamento all’interno del Movimento 5 Stelle allora non si vede perché non accettare la presidenza del consiglio offerta da Salvini.
O forse, se ci pensate, con questa informazione è tutto terribilmente più chiaro. Terribilmente più chiaro. Interessante la politica secondo Di Maio, non c’è che dire.
Buon lunedì.