I Bad Breeding sono in Italia per promuovere il loro ultimo album “Exiled” pubblicato da One Little Indian. La sera di giovedì 10 ottobre a Torino l’ultimo concerto al Blah Blah. Il gruppo è originario di Stevenage, un paesino del Sud Inghilterra, e si inserisce nella tradizione del punk di protesta, addirittura di resistenza, britannico. Il loro ultimo lavoro, e in generale la loro discografia, tratta in maniera ferocemente critica dei problemi e delle ingiustizie della società britannica. Abbiamo dunque fatto una chiacchierata sulla situazione politica e sociale inglese con il cantante del gruppo, Christopher Dodd.
La città natale dei Bad Breeding è Stevenage, una cittadina a meno di 60 chilometri da Londra. Nei vostri testi e nelle vostre dichiarazioni viene descritta come una realtà estremamente povera, con tanti cittadini costretti a rivolgersi alle mense per i poveri e bambini che chiedono cibo per le strade. Non sono rimasto molto sorpreso nello scoprire che nella vostra città abbia vinto il “leave” al referendum del 2016. Crede anche lei, come il sottoscritto, che il referendum sulla Brexit sia stato un grido di disperazione e di protesta contro lo status quo per molti cittadini del Regno Unito?
Sì, credo che sia una osservazione verosimile sulla nostra città e l’andamento del voto referendario. Quasi tutta la stampa liberal e borghese del Regno Unito ha voluto analizzare il voto dei lavoratori marginalizzati descrivendoli come ignoranti dominati da pregiudizi raziali e xenofobia, quando in tantissime realtà ad influire è stato l’abbandono causato dalle politiche neoliberali che costringono tantissimi cittadini a vivere in condizioni terribili. È certamente innegabile che la Brexit a cui siamo arrivati a discutere oggi è stata in parte modellata e guidata da nefaste tendenze di destra di una ristretta cerchia di persone, ma allo stesso tempo attribuire quell’impostazione al voto di milioni di cittadini delle classi meno agiate, che sono stufe di essere l’anello più debole del capitalismo degli ultimi decenni, sarebbe sbagliato e non permetterebbe di capire perché così tante aree del paese abbiano votato contro la permanenza nell’Unione Europea. Sin dai tempi della Thathcer, passando per i governi Blair sino agli attuali governi conservatori, le comunità proletarie sono state sistematicamente private dei propri strumenti di indirizzo politico a favore del controllo autoreferenziale delle classi dominanti. Votare per uscire dall’Unione Europea è stato per molti l’occasione di esprimere il loro malcontento nei confronti del capitalismo che ha inflitto torture punitive nei confronti dei lavoratori.
Quale è stato il ruolo dei media?
La stampa e i media del Regno unito sono da tempo usati come strumenti di divisione e frizione nella comunità dei lavoratori che è storicamente sempre stata il luogo di maggiore integrazione e tolleranza della società britannica. Una delle cose più frustranti delle reazioni alla Brexit è stata il fatto che abbia “sterilizzato” il dibattito sui fallimenti del neoliberalismo rampante. C’è questa narrazione secondo la quale se hai votato “leave” in automatico sei un qualche tipo di luddista o un ignorante razzista. È una cosa molto malsana in un momento in cui istituzioni discutibili e gruppi selezionati di individui controllano in maniera così importante il capitale creato dai lavoratori. In qualche modo queste sciocche conclusioni sul voto per il leave impediscono un dibattito che sarebbe importantissimo sui valori fondamentali dell’Unione Europea come strumento del capitalismo che impone blocchi commerciali, supporta le intenzioni sanguinarie della NATO ed è pesantemente influenzato da grandi colossi industriali che cercano di sfruttare il lavoro delle persone sparse per tutto il Continente. Ci sono domande legittime che devono essere fatte sul ruolo dell’UE come istituzione economica punitiva che comprime i salati, smantella legittimi diritti dei lavoratori ed è oggetto di pressione di multinazionali il cui fine ultimo è spremere le persone per ottenere il massimo profitto. È sufficiente vedere la timida risposta alla lunga crisi migratoria per capire quanto poco interesse venga riservato dall’Unione a coloro che soffrano i perigli e i disagi di un violento abbandono del proprio luogo di origine.
Stevenege è un cosiddetto seggio “marginale” uno di quei collegi in cui il distacco tra i Tories e il Labour è di poche migliaia di voti. Uno di quei seggi in cui, per avere speranze di andare al governo, il candidato laburista deve assolutamente vincere. Crede che Corbyn abbia speranze in collegi come il vostro?
Da socialista e antifascista sostengo il Labour di Corbyn, è l’unica alternativa radicale a nostra disposizione ed è ciò di cui abbiamo bisogno: un cambiamento radicale, la fine delle insensate privatizzazioni e il ritorno alla proprietà statale delle nostre più importanti istituzioni. Detto questo, i sostenitori del capitalismo moderno faranno di tutto per mantenere il controllo ed è chiaro in ciò che abbiamo già visto con tantissimi attacchi alla leadership di Corbyn, un fattore che rischia di diventare problematico quando le elezioni verranno finalmente indette. Mi piacerebbe molto poter dire che vincerà, ma basta guardare a cosa sta accadendo in tutto il mondo per capire che viviamo in un’era che va oltre la realtà e persino oltre la parodia. Corbyn propone soluzioni radicali, ma concrete, che porterebbero alla fine di decenni di sfruttamento delle classi povere, ma come abbiamo visto nel corso della storia recente, il capitalismo muta, sposta e distorce la nostra realtà fino al punto in cui non possiamo vedere nessun futuro al di fuori dei margini imposti.
Boris Johnson ha chiaramente scelto, con la Brexit senza accordo, un sentiero molto pericoloso socialmente ed economicamente. Credi davvero che i cittadini del tuo paese gli rimarranno accanto se dovesse davvero realizzare il suo proposito di un’uscita così traumatica dall’Unione?
Credo sia davvero una buona domanda. Molte persone hanno votato per abbandonare l’Unione nella convinzione che il governo potesse trattare un “divorzio” che non avrebbe prodotto grandi ripercussioni economiche. Il No Deal sembra consegnare al momento uno scenario completamente opposto. Penso che questo debba portarci a fare domande molto importanti attorno al ruolo e alla chiarezza delle informazioni e sulle reali intenzioni di un leader come Johnson. Il suo approccio populista potrebbe in realtà funzionare e questa è una prospettiva molto preoccupante. Il Leave ha vinto il referendum e lui – accordo o no – potrebbe portare a compimento la volontà di quella parte di elettorato e penso che in molti sarebbero contenti nel vedere la fine di questa storia nonostante le immediate ripercussioni economiche. Questo potrebbe giocare a suo favore, un’eventualità che mi fa venire il voltastomaco. Però ho come la sensazione che sia una situazione estremamente confusa e imprevedibile causata da questi ultimi anni convulsi e da un dibattito pubblico sempre più divisivo e polarizzato. Credo che una delle conseguenze a lungo termine della campagna della Brexit, a destra come a sinistra, sia che distorsione e distrazione siano diventati uno strumento cruciale di influenza del capitale. Ne abbiamo scritto lungamente in un nostro saggio intitolato An End to Silence, con cui abbiamo cercato di analizzare qualcuno dei metodi utilizzati, specialmente a destra, in occasione della campagna referendaria che ci ha portato in questa situazione in cui la Brexit è guidata da figure disgustose, che intendono continuare a seminare odio e spargere risentimento per raccoglierne poi i frutti, quali che siano le conseguenze.
Nel 2015 Ed Miliband nel suo programma elettorale propose un salario minimo di 8 sterline all’ora e fu etichettato come un illuso marxista. La scorsa settimana Sajid Javid, Ministro dell’Economia del governo conservatore, ha proposto un salario minimo di 10,5 sterline all’ora. Pensi ciò sia avvenuto perché nel frattempo ci sia stato un cambiamento nell’opinione pubblica di cosa sia considerato ora “radicale” nel Regno Unito?
Credo che sia una mossa populista per cercare di conquistare consenso in vista di una prossima elezione. Una reale radicalità sarebbe stata quella di portare avanti tempo fa una politica d’emergenza che prevenisse la morte di 130.000 persone per mano dell’austerità dei governi conservatori. Spostare di poco il salario minimo è uno schiaffo in faccia per noi che siamo sfruttati e manipolati dal neoliberismo ogni singolo minuto delle nostre vite. Alternative radicali sono l’unica speranza di salvezza per la nostra società. La rinazionalizzazione delle ferrovie, di parti del sistema bancario e di altre istituzioni al momento sotto il controllo di ristrette cerchie finanziarie sarebbero un obiettivo concreto all’interno di un progetto socialista non confinato nei limiti del controllo capitalista. Nelle mani delle giuste persone, questi obiettivi hanno la possibilità di trasformare la vita di milioni di persone intrappolate nella povertà e spingerci vero una società più equa, in cui il potere venga restituito a chi di noi contribuisce a creare un’immensa ricchezza che ora viene raccolta e sfruttata solo da una cerchia molto ristretta di persone. Questo però dando per scontato che il pianeta sopravviva. Stiamo infatti raggiungendo un punto in cui sta diventando sempre più ovvio che l’attuale modello capitalista sia del tutto incompatibile con la sopravvivenza stessa della vita sulla terra.