Sono stati scritti fiumi di inchiostro sulle Sardine. Da quanto non si vedeva un movimento in grado di portare nelle piazze di tutta Italia, nell’arco di pochi mesi, oltre un milione di persone?
Faccio parte del movimento fin dagli esordi e ho sentito una tale quantità di interpretazioni e di analisi sulle Sardine da farmi venire più di una volta in mente l’affermazione di Ringo Star: “Ho letto interpretazioni delle nostre canzoni a cui nemmeno io avevo pensato”
L’ultimo articolo letto sul tema è quello del (sempre bravo) Giulio Cavalli.
Cavalli ci ricorda le espropriazione e le violenze compiute dai Benetton verso la popolazione Mapuche. Una storia di soprusi e di arricchimento che non può che riportare alla mente il celebre 24º capitolo de Il Capitale, intitolato “Sull’Accumulazione Originaria”. L’affermazione fatta dai Benetton in una missiva e riportata da Cavalli (“Abbiamo semplicemente seguito le regole economiche in cui crediamo: fare impresa”) per giustificare queste violenze è cinica e bieca e di sicuro non condivisa da nessuno dei partecipanti al movimento.
Ad onore del vero (ribadisco, qualora ce ne fosse ancora bisogno) i ragazzi bolognesi non erano a Fabrica per incontrare i Benetton, ma invitati da una scuola di comunicazione per parlare con gli studenti.
Cavalli ci chiede di occuparci della storia dei Mapuche, una storia di ingiustizie poco conosciuta dal grande pubblico. Prima ci è stato chiesto di parlare un po’ di tutto: decreti sicurezza, prescrizione, MES, questione ambientale e molte altre.
Ma chi sono le Sardine? Di cosa dovrebbero parlare? Come dovrebbero organizzarsi?
Partiamo dal chi. Nonostante sia impossibile definire univocamente tutte le persone scese in piazza, in questi mesi ho avuto modo di conoscere moltissimi attivisti sul territorio. Tra essi ho incontrato sindacalisti, insegnanti, disoccupati, persone con esperienze politiche pregresse, attivisti dei diritti sociali e civili, qualche arrampicatore sociale (come ha dimostrato la vicenda di Ogongo) e molto altro. Tutti o quasi venivano dal mondo di sinistra e si riconoscevano nell’area politica riformista1. Tutti o quasi avrebbe voluto che i partiti di sinistra e centro-sinistra si ponessero in maniera più radicale sui bisogni “dimenticati” come la giustizia sociale o i diritti civili. Rappresentativa, in questo senso, la scelta delle tematiche: quando ci siamo ritrovati a Roma allo Spin Time ogni regione ha scelto un argomento su cui focalizzarsi. La regione da cui provengo io, il Piemonte, ha scelto per esempio il tema del lavoro e sta realizzando un percorso diffuso su tutte le province regionali. Una delle vicende più seguite in questo percorso è quella dell’Ex Embraco, una storia rappresentativa di molte altre storie di sfruttamento e violenza ai danni dei lavoratori.
Ho letto le interpretazioni più fantasiose sui possibili sviluppi strutturali per le Sardine: diventare un partito, un’associazione, restare un movimento fluido ecc. Ho anche sentito gli interessanti spunti del Prof. Cacciari che invitava a entrare in dialettica con le realtà politiche già esistenti (invito simile a quello fatto da Zingaretti e rivolto non solo a noi ma a tutte le realtà della società civile). Parte di questi stimoli sono stati costruttivi e interessanti, mentre altri, come gli attacchi che riceviamo sistematicamente da giornali di destra o le insinuazioni fatte da Buffagni riguardo i Benetton, sono stati calunniosi e in mala fede, dettati da desiderio di sopravvivenza o brama di visibilità. Mi sento di condividere parte delle preoccupazioni del prof. Cacciari: se è vero che la società civile è il teatro di ogni storia, è anche vero che i movimenti culturali, come dice il Professore, difficilmente possono sopravvivere a lungo ed essere efficaci senza essere realisti. D’altra parte, anche chi voleva fare la “rivoluzione culturale” sapeva benissimo che il potere politico sta sulla canna del fucile.
Un movimento sociale come quello delle Sardine può portare un cambiamento e una critica alla società?
Sì, ma deve organizzarsi e avere una struttura forte e solida. La guerriglia stile Viet Cong, modello simile alla strategia tenuta dalle Sardine durante la campagna elettorale in Emilia-Romagna (comparire improvvisamente e colpire Salvini quando meno se lo aspettava con contromanifestazioni), può funzionare in una dinamica difensiva, ma se si vuole avere una capacità offensiva e propositiva bisogna andare oltre questo modello e strutturarsi.
Ma quali sono i temi? Quali sono i contenuti? Cos’è la politica con la P maiuscola?
Alle sardine si sta chiedendo di tutto.
Per ora è arrivata una principale e forte richiesta, ribadita alcuni giorni fa a Roma: abolire (e non rivedere, come viene tutt’ora erroneamente riportato da alcuni giornalisti) i decreti sicurezza. Sono dei decreti ingiusti e violenti, che vanno a colpire non solo i migranti ma anche i lavoratori, ledendo il loro diritto allo sciopero. Chi vuole dialogare con le Sardine, in particolare i movimenti politici, potrebbe e dovrebbe impegnarsi di più in questa direzione, per dare un segnale concreto di voler dar vita a qualcosa di più di una semplice fagocitazione.
Cosa vi potrebbe essere dopo è difficile dirlo. È mia convinzione che negli ultimi anni vi sia stata una costante opera di delegittimazione della politica su basi ideologiche risolutamente di destra, per non dire reazionarie. Questo processo ha portato sempre più a mortificare il sistema politico democratico e a mascherare come “cambiamenti in favore del popolo” delle riforme o posizioni che non hanno fatto altro che indebolire la rappresentanza e rendere dunque più forte chi si può permettere (anche da un punto di vista economico) di fare politica.
Penso per esempio al taglio dei parlamentari, un’operazione a cui sono personalmente estremamente contrario.
Indebolire le forme rappresentative è un modo per dare più potere a chi ne ha già, ovvero i grandi gruppi economici e le strutture di lobbismo. Penso che una riflessione su questo e su come la politica, se finanziata dai privati, diventi appannaggio dei ricchi, potrebbe dare uno sviluppo interessante al movimento.
Si tratterebbe, in fondo, di un ragionevole processo di maturazione: dal combattere i sintomi (il linguaggio e le azioni di odio) all’affrontarne le cause, ovvero le disuguaglianze crescenti (che generano paura e disgregazione sociale) e la mancanza di riconoscimento e di rappresentanza dei bisogni sociali profondi.
Alessandro Maffei fa parte del coordinamento delle Sardine di Bologna
1 Quando parliamo di “riformismo” facciamo ovviamente riferimento al significato classico del termine e non alle storpiature attuate oggi da partiti neoliberisti i quali, se non sapessimo che manipolano la parola con malizia, ci susciterebbero quasi indulgenza per la loro impreparazione