Da circa tre decenni in Italia è percettibile un’offensiva continua al sistema parlamentare su cui si fonda la nostra democrazia secondo la Carta costituzionale. Il vessillo sempre più spesso issato, da sinistra a destra, è la parola “governabilità”. Vocabolo, quasi magico, che – da Berlusconi a Renzi, fino ai nostri giorni –-esprime la falsa necessità di depotenziamento del Parlamento. La crisi dei partiti e l’onnipotenza della mala politica hanno fatto soccombere le istanze della società civile.
Il Parlamento è stato indebolito e in non pochi casi soccombe al potere dei mercati e della globalizzazione. Ciò nonostante, un evento imprevedibile e inimmaginabile riporta il Parlamento al centro di un dibattito non più evitabile: il suo ruolo nella nostra democrazia. Un tema fondamentale che diventa ancor più rilevante nelle situazioni di emergenza come quella della pandemia da coronavirus che stiamo vivendo. Non ho mai creduto ai sistemi maggioritari e alle riforme delle leggi elettorali che si sono succedute negli ultimi decenni.
La nostra Costituzione è facilmente accordabile con un sistema elettorale proporzionale, in grado di rappresentare l’intero arco delle posizioni politiche, di garantire l’uguaglianza del voto, di riflettere pienamente il pluralismo politico e, soprattutto, di garantire costantemente la presenza e il ruolo di controllo delle forze di minoranza. Questo significa garantire in concreto la “centralità del Parlamento“. La massima rappresentatività ed efficienza decisionale delle Camere, la loro composizione pluralista e la forza delle minoranze, sono la vera espressione di una democrazia parlamentare com’è la nostra.
Tutto questo, però, non basta. L’esistenza di Camera e Senato in un sistema parlamentare non connotano di per sé un regime democratico. Nel regime fascista, difatti, il Parlamento fu mantenuto, ma ridotto a strumento di acclamazione ed espropriato integralmente dal Governo. Occorre, dunque, un quid pluris e cioè un Parlamento che esprima e riassuma il sistema delle libertà in stretto contatto con i diritti e i doveri dei cittadini, attraverso la garanzia della ”riserva di legge”. Quest’ultima serve nel regolare i principi in base ai quali i pubblici poteri possono incidere sulle sfere giuridiche dei privati, sia in rapporto ai partiti politici, che rappresentano la proiezione dei cittadini in Parlamento, sia nei rapporti e meccanismi di reciproca garanzia dei diritti fondamentali della persona umana.
In una democrazia parlamentare come la nostra non si può delegare all’autorità amministrativa l’adozione di misure che intacchino le nostre libertà fondamentali (ad esempio la libertà di circolazione ex art. 16 Cost). Siamo di fronte ad una riserva di legge assoluta. Nei momenti di crisi sanitaria ed economica come l’attuale, sarebbe bene che, invece di ripetere retoricamente “siamo in guerra”, si garantisse più semplicemente la convocazione delle Camere in seduta permanente, in modo tale che tutti gli aspetti connessi all’attuale pandemia fossero discussi in Parlamento e non solo dal Governo. Altrimenti non ha senso parlare di centralità del Parlamento.
Qualcuno potrebbe anche sentirsi spinto a guardare più vicino a sé analizzando queste nostre istituzioni parlamentari e come sono state sfibrate nella recente storia della Repubblica. Non solo oggi ma anche per il futuro bisognerebbe trarre spunto dalla dolorosa esperienza del ventennio fascista qualche prezioso insegnamento che serva a difendere il Parlamento e a farlo sempre più completo e rispettato nell’avvenire. Questa pandemia deve servire anche a evitare di ricader negli stessi errori che già sono stati commessi.
Questa catastrofe potrebbe essere, alla fine, fonte di una “riflessione” libera da preconcetti. Riprendiamo i temi della centralità del Parlamento, ripercorriamo la storia con onestà intellettuale perché sono certo, ci aiuterebbe a capire come e perché i partiti potranno ancora avere una funzione decisiva nel Parlamento della Repubblica Italiana non solo per la formazione delle opinioni politiche e per il ruolo della proposta programmatica e la scelta dei candidati alle elezioni, ma anche per i valori di cui possono ancora essere portatori nei confronti di forze politiche sostanzialmente antidemocratiche ed espressione d’interessi di parte, spregiudicate negli atteggiamenti fascistoidi.
* Vincenzo Musacchio, giurista e docente di diritto penale, dal 2018 associato della School of Public Affairs and Administration (Spaa) presso la Reuters University di Newark (Usa), presidente dell’ Osservatorio Antimafia del Molise e direttore Scientifico della Scuola di Legalità “don Peppe Diana” di Roma e del Molise.