Le stesse macchine parcheggiate da giorni, la stessa moto, la stessa bici: è quello che vedo dalla finestra del mio ufficio a casa, da dove, anche prima del lockdown, lavoravo. La Strada statale 553 è praticamente una striscia grigia tra due colline, come mai l’avevo vista fino ad oggi.
Qualche ambulanza, con il suo inconfondibile colore, la attraversa, diretta all’ospedale Covid di Atri, infastidendo tutto, dalla motivazione del suo passaggio, al suo stesso transito; siamo a Silvi, provincia di Teramo, ultimo baluardo della provincia prima della grande Pescara, provincia, quella pescarese con il più alto numero di contagiati dell’intero Centro Sud.
Dal centro storico, antico borgo di pescatori, riconosciuto dal ministero del Turismo e dei Beni culturali tra i 40 borghi storici marinari d’Italia, si scorge l’intera costa abruzzese sconfinando a nord nelle Marche e a sud fino alla Puglia. Una città, la nostra, che vive di turismo e che dal nove marzo è rimasta desolatamente vuota, fantasma. I ponti del 25 aprile e primo maggio, apripista della stagione estiva, sono trascorsi con elicotteri, droni e caccia all’uomo lì dove il mare sbatte incessantemente da sempre, incurante di tutto ciò che avviene dove è asciutto e oggi anche deserto.
Una buona percentuale di alberghi ha deciso di non aprire e ristorantini piacevoli, con tanti dubbi si preparano: troppe le spese, troppe le regole, pochi i turisti. Cosa attende la nostra economia, non a giugno, non a settembre, ma a ottobre-dicembre, quando anche l’aspettativa della stagione, quella carica di entusiasmo che da sempre ha riempito le strade della nostra città nel periodo pre-estivo è desolazione? Cosa ci troveremo ad affrontare, quando l’inevitabile tracollo di una stagione sotto tono porterà il conto?
Dal palazzo di città, a trazione leghista – Silvi è il primo comune del centro sud ad esser guidato dalla Lega – non trapelano novità, anzi, sembrano esser confermati i pagamenti per l’occupazione del suolo pubblico, la tariffa sulla raccolta dei rifiuti, anche per le attività chiuse da Dpcm e che rifiuti non ne hanno prodotti; non hanno lavorato ma devono pagare un trasporto e uno smaltimento non effettuato. Anche i parcheggi a pagamento sulla riviera, desolatamente vuota, sembrano esser confermati e le timide iniziative, prevedono una sosta gratuita di soli 15 minuti, per favorire non si capisce cosa!
Occorre coraggio, pensare ad una città e a una regione davvero diverse, far diventare la costa un enorme contenitore di mobilità alternativa, inondarla di bici, monopattini e lunghi camminamenti pedonali.
Trasformare gli attuali marciapiedi in locali a cielo aperto, favorire la sosta e la distanza, il gusto del nostro mare, la visione delle nostre colline e delle nostre montagne. Vivere le nostre città come salotti verdi e terrazzi comuni: abbiamo gli spazi e le peculiarità!
Inevitabilmente occorre pensare alle alternative a tutto ciò che riguarda la mobilità.
Dalla Regione, anch’essa a trazione leghista, fanno sapere che i mezzi pubblici non sono in numero sufficiente per favorirne l’utilizzo con le restrizioni previste dal distanziamento, producendo così un’indubbia crescita dell’utilizzo di mezzi privati.
Lo scenario è infatti quello per cui l’uso del trasporto pubblico locale sarà fortemente ridotto, sia a causa del mantenimento delle restrizioni, sia a causa della sfiducia della popolazione nel prendere i mezzi pubblici. Il trasporto pubblico locale sposta quote rilevanti di cittadini, fino al 55%, e la nostra città ne muove circa il 70% verso la provincia di Pescara soprattutto con l’enorme movimento che riguarda i treni pendolari. Si può facilmente prevedere adesso che quote importanti di questi cittadini abbandoneranno il trasporto pubblico e cercheranno altre modalità di spostamento, con un inevitabile incremento di traffico, inquinamento e vivibilità. Non possiamo permettercelo.
Se non cambiamo adesso, non lo faremo più!