Qui a Pechino stiamo assistendo ad una seconda ondata di coronavirus, che ha allarmato fin da subito il governo della Repubblica popolare cinese e la popolazione, la quale poteva finalmente godere delle ritrovate libertà concesse dall’allentamento delle misure restrittive di sicurezza, grazie all’entrata ufficiale nella fase 3, a partire dal 6 giugno. Dopo appena una settimana di libertà, è stato scoperto il nuovo focolaio nel mercato alimentare di Xinfadi, punto di riferimento per l’approvvigionamento di molti ristoranti della città. Il governo si è mobilitato tempestivamente per individuare i nuovi positivi al virus, ed aggiorna costantemente le liste dei casi confermati e degli asintomatici.
Le applicazioni in Cina vengono usate tantissimo, infatti è indispensabile avere l’app Wechat, il Whatsapp cinese, perché ha molte più funzioni del corrispettivo occidentale, utili alla vita di tutti i giorni. Quest’anno, a causa della situazione di emergenza sanitaria sono stati sviluppati “mini-programmi” di Wechat che permettono di monitorare in tempo reale l’insorgere di nuove aree a rischio; in questo modo sin dall’inizio della pandemia in Cina, è stato possibile controllare il numero di casi confermati in ogni quartiere delle città colpite dal virus. Oggi stiamo tornando ad affidarci nuovamente alla tecnologia per monitorare i quartieri sicuri di Pechino, e quelli in cui è meglio non andare per evitare il rischio di contagio.
È di nuovo aumentato il livello di sicurezza della città, da cui sta diventando progressivamente sempre più difficile uscire, a causa dei metodi di sicurezza e controllo implementati proprio in questi giorni dal governo cinese, per contenere il virus all’interno della capitale e contrastarne la diffusione nelle altre località del Paese. Pechino è infatti il nuovo centro dell’epidemia del coronavirus e si vuole a tutti i costi scongiurare una seconda Wuhan.
I locali di tendenza, che erano stati riaperti con il progressivo miglioramento della situazione nei mesi scorsi, sono stati chiusi a seguito dell’allerta virus. La ripresa delle attività commerciali ha subito uno stop improvviso. Le scuole che, rispetto al resto del paese, avevano riaperto per ultime proprio a Pechino, sono state prontamente richiuse e la riapertura è rimandata al prossimo semestre. Stesso discorso vale per le Università, che non hanno fatto nemmeno in tempo a riaprire e fino all’inizio di luglio stanno celebrando le cerimonie di laurea in modalità online e mista. Il caso degli studenti universitari, sia cinesi che stranieri, è un caso particolare, perché le misure di sicurezza per chi è rimasto all’interno dei campus e dei dormitori dei numerosi atenei di Pechino, sono state sempre più rigide rispetto a quelle imposte al resto della popolazione. I campus sono soggetti ad un vero e proprio lockdown iniziato a febbraio e che perdura tutt’oggi. Lockdown che per il resto dei cittadini, data l’insorgenza del virus molto controllata nella capitale, era durato, in modo così restrittivo, soltanto per il primo mese. Per gli studenti universitari è possibile uscire dai dormitori solo tramite l’ottenimento di pass giornalieri da parte dei dipartimenti di riferimento all’interno della struttura universitaria, che vengono rilasciati in maniera estremamente controllata previo richiesta scritta, in cui devono essere evidenziate le motivazioni dell’uscita e l’orario di rientro nel campus.
In seguito allo scoppio del nuovo focolaio è stata immediata la corsa ai ripari, al via il test di acido-nucleico per mezzo di tamponi orali a tappeto in tutta la città per identificare nuovi possibili positivi. Da sabato scorso il personale medico si è mobilitato in maniera massiccia e sta coprendo tutte le zone di Pechino, ed abbiamo assistito a queste giornate sensazionali caratterizzate da file lunghissime per poter accedere in maniera gratuita al test del coronavirus, obbligatorio per tutti i residenti. Chi ha preferito evitare gli affollamenti, ha potuto effettuare il test nelle cliniche private dietro pagamento.
L’organizzazione cinese lascia sempre sbalorditi, per l’efficienza ed il numero di persone che si trova a dover gestire, ed è osservabile come il nuovo focolaio venga affrontato oggi in modo più consapevole rispetto al passato; secondo il quotidiano di Pechino stanno effettuando più di 300.000 test al giorno e al momento 311 sono le persone affette da coronavirus dall’inizio della nuova ondata, come riportato dall’Agenzia Nuova Cina. Il morale della popolazione resta alto, c’è molta preoccupazione, ma questa volta il virus non coglie impreparati. I cittadini cinesi rispondono con calma e coraggio alla nuova ondata epidemica e all’uso sempre più intrusivo dei metodi di sicurezza del governo, che tramite i social network, in primis Wechat, tracciano gli spostamenti e controllano lo stato di salute dei cittadini. E persino per visualizzare il risultato del test per il coronavirus si usa il cellulare.
La seconda ondata, mette la capitale cinese in una posizione scomoda, poiché è diventata a tutti gli effetti l’attuale fulcro dell’epidemia di coronavirus in Cina, dopo che sembrava che il Paese ce l’avesse fatta a lasciarsi alle spalle la lotta al virus, ed il soft power cinese era entrato già da tempo in azione con l’invio delle mascherine e del materiale sanitario all’estero. La Cina dovrà forse fare un passo indietro nel considerare gli occidentali la minaccia corrente per l’importazione del virus, visto il vero e proprio blocco degli ingressi dall’estero in territorio cinese entrato in vigore il 26 marzo scorso, e aiuterebbe a risollevare la sua reputazione di potenza responsabile a livello mondiale se si dimostrasse pronta ad assumersi le proprie responsabilità senza puntare il dito al di fuori dei propri confini nazionali. D’altra parte la situazione cinese insegna all’Occidente ed al resto del mondo a non abbassare troppo velocemente la guardia perché la lotta al virus va combattuta con costanza e molta pazienza.