I partigiani che hanno lottato per la democrazia e la libertà, lasciandoci una splendida Costituzione, avevano in sé un’idea di uguaglianza, avevano il senso del collettivo, passione politica e civile. Avevano valori, ideali, coraggio che si scontravano con la logica disumana e criminale dei nazifascisti che, annullando la realtà umana degli ebrei, dei rom e degli oppositori politici li sterminavano come insetti, cercando poi di cancellare anche la memoria della loro esistenza. Rossi e neri non sono uguali. Da una parte, pur fra mille errori, c’era la lotta per la liberazione dall’oppressione, dall’altra c’era un agghiacciante progetto di morte e di distruzione. La storia è storia. Gli antifascisti hanno liberato l’Italia dal nazifascismo. Il fascismo è un crimine. È fuorilegge.
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Contro questa verità si infrange il negazionismo di politici di destra come il leghista Matteo Salvini che ama citare Mussolini e, incurante del senso delle istituzioni, ha messo sullo stesso piano fascisti e partigiani disertando la festa nazionale del 25 aprile nel 2019, quando era ministro dell’Interno. Contro i cattivi maestri che vorrebbero iniettare veleno nella mente dei più giovani, contro le fake news che hanno contribuito a costruire il mito degli Italiani brava gente, contro il revisionismo che propone letture normalizzanti e auto assolutorie del fascismo proponiamo di tornare alla grande lezione dello storico e partigiano Marc Bloch, suggeriamo di rileggere i libri di Angelo Del Boca (Italiani, brava gente? Neri Pozza, 2005) e di Filippo Focardi (Il cattivo tedesco e il bravo italiano, Laterza, 2013), ma anche il più recente La guerra della memoria (Laterza, 2020). Con testimonianze dirette e documenti alla mano mostrano bene come il fascismo non sia stato affatto una parata carnevalesca, sgangherata e grottesca. Il duce non fu una macchietta fanfarona. Il fascismo fu un regime totalitario e criminale, corporativo, razzista, imperialista, misogino, ottuso, violento, sanguinario, spietato. E tale fu Mussolini, al quale Hitler si ispirò. Primo Levi diceva sempre che il cancro dei lager nazisti era nato da metastasi italiane. E allora ripetiamolo ancora: il regime fascista si rese responsabile di un genocidio in Libia, come ricostruisce Giuseppe Scuto in questo libro di Left, che ripercorre tutta la feroce vicenda del colonialismo italiano in Cirenaica e non solo. Il regime fascista, per primo, usò armi chimiche, massacrando la popolazione civile in Etiopia. Concepì e promulgò le leggi razziali che causarono deportazioni di massa e milioni di morti nei forni crematori. Si macchiò di assassinii feroci come quello del deputato socialista Giacomo Matteotti il 10 giugno del 1924. «Mussolini fu il maggior massacratore degli italiani della storia» scrive Francesco Filippi nella prefazione del suo incisivo libro che torniamo a consigliare, convinti che dovrebbe stare in tutte le scuole (e redazioni) insieme al suo Ma perché siamo ancora fascisti? (Bollati Boringhieri, 2020). «La base di un possibile futuro totalitario passa anche dalla riabilitazione del passato totalitario», avverte lo storico e presidente dell’associazione Deina che organizza viaggi di memoria e corsi di formazione. Un passaggio pericoloso in questo senso avvenne nel 1994 quando i neofascisti del Msi, confluiti dentro Alleanza nazionale di Gianfranco Fini, andarono al governo con Forza Italia di Silvio Berlusconi e con la Lega Nord. Ma allo sdoganamento del neofascismo hanno concorso anche la tv, invitando esponenti di Forza Nuova e CasaPound a parlare nei talk show, e scelte politiche come quella compiuta dal Pd che, fino al novembre 2019, aveva eliminato ogni riferimento all’antifascismo dal proprio statuto. Anche di questo abbiamo parlato al Parlamento europeo con le eurodeputate Eleonora Forenza e Ana Miranda che, con Soraya Post, nel 2018 hanno promosso una risoluzione Ue per lo scioglimento e la messa al bando di tutte le formazioni neofasciste in Europa. Dopo quell’importante voto favorevole dell’Aula l’allora presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani ebbe l’ardire di affermare che «Mussolini aveva fatto anche cose buone». Suscitando grande scandalo, tanto da essere costretto a ritrattare. E noi, con Francesco Filippi, torniamo a ripeterlo come un mantra: nemmeno i treni erano puntuali sotto il fascismo (tra le due guerre l’Italia aveva una rete ferroviaria del tutto inadeguata e arretrata). Contro le falsità che ancora girano in rete ricordiamo che il duce non ha creato le pensioni (la previdenza sociale nacque nel 1898 con la fondazione della Cassa nazionale di previdenza per l’invalidità e la vecchiaia degli operai; mentre la pensione sociale viene introdotta solo nel 1969). Né tanto meno istituì la cassa integrazione, che fu varata nell’agosto 1947. Mussolini non inventò l’indennità di malattia (fu istituita il 13 maggio 1947 e nel ’68 fu estesa a tutti i lavoratori). E ancora: Mussolini non concesse il voto alle donne che potevano esprimersi solo in piccoli referendum locali mentre erano del tutto escluse dalle elezioni politiche. La prima volta che le donne furono ammesse al voto fu al referendum del 1946. Contro le bufale che producono una pericolosa falsa memoria, contro i danni della memoria corta torniamo a studiare la storia.
Come diceva la partigiana Tina Costa: «Studiate per la libertà»!
I partigiani che hanno lottato per la democrazia e la libertà, lasciandoci una splendida Costituzione, avevano in sé un’idea di uguaglianza, avevano il senso del collettivo, passione politica e civile. Avevano valori, ideali, coraggio che si scontravano con la logica disumana e criminale dei nazifascisti che, annullando la realtà umana degli ebrei, dei rom e degli oppositori politici li sterminavano come insetti, cercando poi di cancellare anche la memoria della loro esistenza. Rossi e neri non sono uguali. Da una parte, pur fra mille errori, c’era la lotta per la liberazione dall’oppressione, dall’altra c’era un agghiacciante progetto di morte e di distruzione. La storia è storia. Gli antifascisti hanno liberato l’Italia dal nazifascismo. Il fascismo è un crimine. È fuorilegge.
Contro questa verità si infrange il negazionismo di politici di destra come il leghista Matteo Salvini che ama citare Mussolini e, incurante del senso delle istituzioni, ha messo sullo stesso piano fascisti e partigiani disertando la festa nazionale del 25 aprile nel 2019, quando era ministro dell’Interno. Contro i cattivi maestri che vorrebbero iniettare veleno nella mente dei più giovani, contro le fake news che hanno contribuito a costruire il mito degli Italiani brava gente, contro il revisionismo che propone letture normalizzanti e auto assolutorie del fascismo proponiamo di tornare alla grande lezione dello storico e partigiano Marc Bloch, suggeriamo di rileggere i libri di Angelo Del Boca (Italiani, brava gente? Neri Pozza, 2005) e di Filippo Focardi (Il cattivo tedesco e il bravo italiano, Laterza, 2013), ma anche il più recente La guerra della memoria (Laterza, 2020). Con testimonianze dirette e documenti alla mano mostrano bene come il fascismo non sia stato affatto una parata carnevalesca, sgangherata e grottesca. Il duce non fu una macchietta fanfarona. Il fascismo fu un regime totalitario e criminale, corporativo, razzista, imperialista, misogino, ottuso, violento, sanguinario, spietato. E tale fu Mussolini, al quale Hitler si ispirò.
Primo Levi diceva sempre che il cancro dei lager nazisti era nato da metastasi italiane. E allora ripetiamolo ancora: il regime fascista si rese responsabile di un genocidio in Libia, come ricostruisce Giuseppe Scuto in questo libro di Left, che ripercorre tutta la feroce vicenda del colonialismo italiano in Cirenaica e non solo. Il regime fascista, per primo, usò armi chimiche, massacrando la popolazione civile in Etiopia. Concepì e promulgò le leggi razziali che causarono deportazioni di massa e milioni di morti nei forni crematori. Si macchiò di assassinii feroci come quello del deputato socialista Giacomo Matteotti il 10 giugno del 1924. «Mussolini fu il maggior massacratore degli italiani della storia» scrive Francesco Filippi nella prefazione del suo incisivo libro che torniamo a consigliare, convinti che dovrebbe stare in tutte le scuole (e redazioni) insieme al suo Ma perché siamo ancora fascisti? (Bollati Boringhieri, 2020). «La base di un possibile futuro totalitario passa anche dalla riabilitazione del passato totalitario», avverte lo storico e presidente dell’associazione Deina che organizza viaggi di memoria e corsi di formazione. Un passaggio pericoloso in questo senso avvenne nel 1994 quando i neofascisti del Msi, confluiti dentro Alleanza nazionale di Gianfranco Fini, andarono al governo con Forza Italia di Silvio Berlusconi e con la Lega Nord. Ma allo sdoganamento del neofascismo hanno concorso anche la tv, invitando esponenti di Forza Nuova e CasaPound a parlare nei talk show, e scelte politiche come quella compiuta dal Pd che, fino al novembre 2019, aveva eliminato ogni riferimento all’antifascismo dal proprio statuto.
Anche di questo abbiamo parlato al Parlamento europeo con le eurodeputate Eleonora Forenza e Ana Miranda che, con Soraya Post, nel 2018 hanno promosso una risoluzione Ue per lo scioglimento e la messa al bando di tutte le formazioni neofasciste in Europa. Dopo quell’importante voto favorevole dell’Aula l’allora presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani ebbe l’ardire di affermare che «Mussolini aveva fatto anche cose buone». Suscitando grande scandalo, tanto da essere costretto a ritrattare. E noi, con Francesco Filippi, torniamo a ripeterlo come un mantra: nemmeno i treni erano puntuali sotto il fascismo (tra le due guerre l’Italia aveva una rete ferroviaria del tutto inadeguata e arretrata). Contro le falsità che ancora girano in rete ricordiamo che il duce non ha creato le pensioni (la previdenza sociale nacque nel 1898 con la fondazione della Cassa nazionale di previdenza per l’invalidità e la vecchiaia degli operai; mentre la pensione sociale viene introdotta solo nel 1969). Né tanto meno istituì la cassa integrazione, che fu varata nell’agosto 1947. Mussolini non inventò l’indennità di malattia (fu istituita il 13 maggio 1947 e nel ’68 fu estesa a tutti i lavoratori). E ancora: Mussolini non concesse il voto alle donne che potevano esprimersi solo in piccoli referendum locali mentre erano del tutto escluse dalle elezioni politiche. La prima volta che le donne furono ammesse al voto fu al referendum del 1946. Contro le bufale che producono una pericolosa falsa memoria, contro i danni della memoria corta torniamo a studiare la storia.
Come diceva la partigiana Tina Costa: «Studiate per la libertà»!