Ancora oggi il governo gestisce l’emergenza provocata dal coronavirus senza pubblicare dati aperti, aggiornati e liberamente scaricabili. Informazioni che consentirebbero di compiere le analisi indipendenti necessarie per migliorare le misure di contrasto e contenimento. Le riflessioni di Marco Cappato, associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica

Molti scienziati ce lo hanno ripetuto in queste settimane: il recente allentamento delle misure di mitigazione del Covid disposto dal governo va in direzione contraria rispetto a quanto ci indicano i dati della pandemia. Il “rischio ragionato” di Draghi, insomma, guarda più alle ragioni dell’economia che a quelle della salute, poiché le evidenze scientifiche imporrebbero maggior cautela. Già, ma di cosa parliamo realmente quando facciamo riferimento ai “dati” sul Covid? Quali conosciamo davvero e quanti sono pubblici nel nostro Paese? Quanto sarebbe importante che le informazioni in base alle quali vengono prese le decisioni che impattano sulle nostre libertà personali e sulle attività produttive, a tutela della salute pubblica, fossero liberamente accessibili alla cittadinanza?

Ad ormai 14 mesi da quando tutta l’Italia entrava per la prima volta in zona rossa, i dati di cui stiamo parlando sono ancora pochi, troppo pochi. E poco trasparenti. Non è solamente un problema di democrazia: è anche un freno che limita la ricerca scientifica e allontana la luce in fondo al tunnel del virus. Per questo, numerosi attivisti – e non solo – chiedono con forza che le informazioni riguardo al contagio siano raccolte meglio e vengano rese accessibili a tutti gli scienziati e cittadini (v. la campagna #DatiBeneComune, con annessa raccolta firme).

Ma andiamo per gradi. Al momento in Italia abbiamo a disposizione tre principali fonti di dati sulla pandemia. La prima fonte è…


L’intervista prosegue su Left del 7-13 maggio 2021

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