«Make Kabul University great again» twitta il nuovo rettore dell’ateneo di Kabul, facendo il verso a Trump, mentre vieta l’accesso a studentesse e insegnanti donne. Ma «gli studenti aiuteranno le compagne a continuare a studiare» promette il professor Noorhullah

«Le cose sono irrimediabilmente cambiate, l’università è diventata un luogo silenzioso e cupo». Nella penombra di una stanza, il professor Noorhullah, docente di Economia all’ateneo di Kabul, parla della situazione dopo aver tentennato per giorni prima di accettare l’intervista. C’è grande paura e c’è il sospetto che chiunque possa denunciarti ai talebani per una qualunque nuova violazione della sharia. Ma l’esigenza di raccontare come è cambiato in trenta giorni l’Afghanistan è troppo importante. E allora il professore spiega che per giorni le aule del campus della capitale sono rimaste deserte e poi si sono pian piano ripopolate, ma solo di ragazzi. Le lezioni sono state sospese e sono riprese solo da pochi giorni, perché nel frattempo un comitato, di cui non si sa esattamente chi faccia parte, ha voluto verificare tutti i programmi. «Sono state sottoposte al vaglio soprattutto le materie economiche e di scienze politiche» dice il docente «ma c’è aria di altri grossi cambiamenti e non in meglio».

Parole profetiche, perché esattamente dodici ore dopo alla stampa internazionale viene comunicato che il nuovo rettore dell’Università di Kabul Mohammad Ashraf Ghairat ha vietato l’accesso all’ateneo a studentesse e insegnanti donne. «Finché un vero ambiente islamico non sarà garantito per tutti, alle donne non sarà permesso di venire all’università o di lavorarci. Islam first». La dichiarazione è un “capolavoro” della nuova strategia comunicativa dei talebani 2.0, che rimpasta il vecchio fanatismo religioso con gli slogan nazionalisti dell’Occidente. L’«America first», di Trump. Il «prima gli italiani» di Salvini e Meloni. Un tocco dalla genialità agghiacciante, che fa arrivare ai media internazionali il loro messaggio oscurantista, ma con le nostre parole. Ma Ghairat fa ancora di più. Attraverso Twitter lancia lo slogan trumpiano «Make Kabul University great again» e spiega meglio quali sono le nuove direttive. «A causa della carenza di docenti donne, stiamo lavorando a un piano affinché i docenti maschi possano insegnare alle studentesse da dietro una tenda nelle classi. In quel modo verrebbe creato un ambiente islamico che permetterebbe alle studentesse di studiare». Fino ad allora le donne non potranno studiare, né lavorare. «Io un giorno mi sono coperta con il burqa e sono entrata al campus – ha raccontato Fawzia – volevo vedere con i miei occhi, sebbene velati, com’era la situazione e mi sono venute le lacrime. Un problema se piangi con il volto coperto e due kg di stoffa addosso. Ma sono andata via subito, mi sentivo in pericolo, sono corsa a casa e anche una volta chiusa la porta alle mie spalle, ho avuto la sensazione di…


L’articolo prosegue su Left dell’8-14 ottobre 2021

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