Il nuovo libro dell’insegnante e scrittore Enrico Galiano, Scuola di felicità per eterni ripetenti, è appena uscito ed è già in odore di ristampa. Anche se questa volta non si tratta di un romanzo ma di un saggio in parte autobiografico, scritto provando a mettersi dall’altra parte del banco «per ascoltare le lezioni che ci possono dare i più giovani». Pubblicato da Garzanti si articola in 21 piccole lezioni sullo scegliere, sul coraggio, sulla libertà, sul rispetto, sulla pace. E proprio su questo tema: scegliere e costruire la pace Galiano è intervenuto il 3 settembre al Festival di Emergency a Reggio Emilia in un incontro dal titolo Make art not war. E il 15 settembre sarà a Pordenonelegge coinvolgendo anche le scuole
Gino Strada diceva che la guerra è disumana. Potremmo dire che l’arte è l’esatto opposto dacché ci parla di vita e di valori umani universali. Che ne pensa Galiano da scrittore e da insegnante?
Quando vinse il Nobel, quasi schermendosi Montale disse: «Io per tutta la vita ho scritto poesie. Non ho fatto niente di speciale, però scrivendo poesia non ho mai fatto male a nessuno». E già questo mi sembra un fatto importante. L’arte può impedirti di fare male a qualcuno. Nell’attuale momento storico mi sembra importante. E poi certo il valore dell’arte è anche quello educativo. Io lo vedo per esempio nella vita spicciola quotidiana a scuola. I ragazzi che hanno avuto la fortuna di crescere in ambienti familiari dove circola arte e dove circola letteratura sono molto spesso più propensi al dialogo e non al conflitto a tutti i costi. Anche questo mi sembra un aspetto significativo
L’arte può essere uno strumento di resistenza, mi riferisco a uno dei tanti esempi che si possono fare. Tra il 1992 e il 1996 a Sarajevo ci fu un tripudio di spettacoli, di mostre, nonostante la situazione (ne ha scritto Andrea Caira per Left), come se fosse un’esigenza profonda per resistere in tempo di guerra. Che ne pensi?
Ti rendi conto quanto l’arte sia un’esigenza primaria solo quando qualcuno te la vuole togliere. Quando ce l’hai lì sempre a portata di mano… invece… Io avevo letto la stessa cosa all’indomani della fine della guerra in Kosovo, quando tantissimi giovani si sono trasferiti a Pristina in una città bombardata, distrutta, l’hanno resa anche nel corso di poco tempo una città dei giovani in Europa, dove tutto è più bello, dove c’è più freschezza, dove c’è più vitalità.
Dall’altra parte i regimi totalitari ma anche quelli fondamentalisti odiano l’arte.
Anche la mafia….
Penso ai Budda di Bamiyan distrutti dai talebani, ma si può pensare anche all’Isis, alla distruzione del patrimonio iracheno e siriano. Cosa non sopportano dell’arte?
Io farei una riflessione sulle parole, esiste un contrario di arte? Io credo che il contrario di arte sia rassegnazione, esprime ciò che arte non è. E sia i regimi totalitari, oppure come stavo dicendo la logica mafiosa, si basano sulla rassegnazione del popolo.Le persone devono essere rassegnate per poterle poi assoggettare meglio e appunto qualunque manifestazione artistica che sia l’opposto della rassegnazione è vista come il nemico, come qualcosa che va sfregiato o addirittura distrutto.
Avvicinare i ragazzi al nostro patrimonio artistico è anche un modo per avvicinarsi a una finestra sul futuro. Noi abbiamo uno straordinario articolo 9 della Costituzione, veramente rivoluzionario…
E’ un po’ come la storia delle finestre rotte. Se tu vivi in un quartiere con delle finestre rotte poi magari ti viene di lanciare sassi verso altre finestre rotte. Quando vivi in un quartiere dove non esistono finestre rotte, hai remore anche a buttare una cartaccia per terra, istintivamente vuoi preservare questa bellezza che trovi intorno a te. Se tu fai crescere un bambino senza arte, senza bellezza lui sarà istintivamente portato a non preservare nessuna bellezza, non sa nemmeno che esiste. Se lo porti da piccolo a vedere la Notte stellata di Van Gogh, se lo porti da piccolo a vedere la torre di Pisa farai crescere il suo desiderio di bellezza e quindi anche il suo desiderio di proteggerla di conservarla di custodirla
Il ruolo della scuola da questo punto di vista?
Il ruolo della scuola è quello di dare a tutti le stesse possibilità. Non tutti nascono in famiglie in cui puoi andare a vedere la Notte stellata. Non tutti se lo possono permettere culturalmente, la scuola ci serve proprio a questo. A permettere proprio a chi non può di mettere al primo posto questo sentimento. Non può essere più come nell’800 un posto dove vai a reperire informazioni che poi ti serviranno nel posto del lavoro. Ormai queste cose non funzionano più. Si informazioni nel mondo della scuola ce ne sono fin troppe. La scuola ha tutt’altro ruolo rispetto al passato, ha il ruolo di aiutare ogni bambino, ragazzo o ragazza a riconoscere la bellezza e a difenderla.
In questo senso il lavoro dell’insegnante è anche creativo. Tu ti sei inventato delle forme di comunicazione diverse da quelle istituzionali e hai avuto un grande successo usando i social network, i nuovi media che sono più vicini ai ragazzi, è necessario anche da parte degli insegnanti per rendere più saldo e più forte il rapporto con i ragazzi?
E’ necessario fare questi corsi di “nuove lingue”. I linguaggi in cui si esprimono gli adolescenti sono diversi dai nostri e i tentativi che faccio io sono tentativi di parlare una lingua che per me magari è un po’ straniera, mentre per loro magari è una lingua madre. Bisogna poter comunicare, va trovato un modo per comunicare insieme, per poter trovare un punto di incontro. Poi va demandato alla sensibilità di ogni insegnante. Ognuno deve seguire anche le cose più congeniali altrimenti diventa scimmiottare e può diventare molto pericoloso.
Ma hai anche inventato la web serie Cose da prof che ha fatto venti milioni di visualizzazioni. Giusto?
Sì ormai per me è giurassico questa cosa qua si parla degli anni 2015-2018 pre covid, pre tik tok, un mondo che mi ha aiutato molto ad arrivare ad oggi. Ma molte carte sono state cambiate in tavola. Ci sono nuovi mezzi, nuovi social. Sono andato anche su Tik tok per cercare di capire come si usa, è una fatica. Immagino che con gli anni lo sarà sempre più, non è semplicissimo ma è anche divertente, dai diciamo.
Ma tu hai mutuato anche pratiche dalla Beat generation, e di Ferlinghetti che bombardava le città di poesie. Ho letto che sei stato fautore di poetiteppisti con flash mob di studenti, che portano la poesia nelle città.
A proposito di difendere la bellezza, l’idea era quella di far portare la poesia fuori dalla scuola. Poi questo flash mob è stato emulato da tanti colleghi che andavano in giro per l’Italia, attaccavano queste poesie sulle macchine, sulle vetrine, sui bancomat, è stato un modo per far vedere che certi versi di poeti anche di canzoni possono uscire dalla polvere del libro ed entrare nelle nostre case, nelle nostre vite.
Come si compone in questo quadro la tua narrativa, anche quello è uno strumento per arrivare ai giovani? Tu sei seguitissimo.
Forse è lì che arrivo più lontano perché attraverso i libri e le storie porto quello che vedo. Io ho una grande passione per quel mondo magico che sono gli adolescenti. E soprattutto ho una grande curiosità, voglio esplorarlo nei libri e nelle storie porto un volto di cui non si parla tanto. Nel senso che gli adolescenti fanno notizia quando fanno qualcosa di male, quando ci sono notizie di cronaca. Ma io voglio raccontare anche un’altra faccia. Le paure, i bisogni degli adolescenti, il fatto che a volte urlino e noi non li sentiamo. Provare a sentire cosa ci urlano.
La Rete degli studenti medi ha fatto una ricerca con il supporto della Spi Cgil che s’intitola “Chiedimi come sto”. I giovani pretendono maggior attenzione alla loro salute mentale. Cosa ne pensai?
Insieme al tema dell’arredo scolastico che andrebbe aggiornato, insieme al tema del reclutamento degli insegnanti che andrebbe rivoltato come un calzino, un altro tema che mi sta molto a cuore è quello della presenza di uno psicologo in ogni scuola e della formazione degli insegnanti riguardo gli aspetti della psicologia degli adolescenti. Non è più procrastinabile questa cosa. C’è una percentuale sempre crescente di Hikikomori, ragazzi che si chiudono in casa e non escono per mesi , i disturbi dell’alimentazione ormai cominciano a 13 anni, è una roba che fa paura, così come la dispersione scolastica ai massimi livelli Ocse. Mi pare evidente che stiano male. E cosa vogliamo fare? Continuare a pensare solo alle declinazioni, ai monomi e polinomi o iniziare a pensare al loro benessere e alla loro salute mentale? La scuola deve essere un luogo dove i ragazzi stanno anche bene.