Per queste feste chi avesse la fortuna di passare per Siviglia non si dovrebbe perdere la mostra dedicata all’artista polacca di origini Rom Malgorzata Mirga-Tas Remembranza y resignificación, (aperta fino al 31 marzo) nel suggestivo Centro Andaluz de Arte Contemporaneo, un complesso espositivo creato nell’ex monastero Cartuja de Santa Maria de las cuevas (dove tra il 1509 e il 1536 riposavano le spoglie di Cristoforo Colombo).
La giovane artista e attivista Rom, promotrice del progetto “Romani Art” e di altre numerose iniziative contro la discriminazione raziale e per l’inclusione sociale attraverso l’arte, aveva già esposto gli arazzi, che costituiscono il cuore di questa mostra, nel padiglione polacco della Biennale di Venezia del 2022, prima volta in cui il padiglione della Polonia è stato interamente dedicato a una artista Rom.
Il grande ciclo di arazzi esposto nel padiglione della biennale, intitolato Re-enchanting the world, era ispirato all’omonimo saggio della filosofa femminista italiana (nata a Parma ma naturalizzata statunitense) Silvia Federici, autrice di importanti studi in cui analizza il capitalismo, la politica salariale e il “lavoro riproduttivo” da una prospettiva di genere (tra l’altro nel 1972 fu tra le fondatrici del Collettivo femminista internazionale, un’organizzazione che lanciò la campagna internazionale “Wages ForHousework” per ottenere un salario per il lavoro domestico). In questa raccolta di saggi la filosofa propone di ri-costruire una comunità sulla base di un rapporto con “l’altro” radicalmente diverso da quello proposto dal capitalismo, essendo questo basato, secondo lei, sulla sopraffazione violenta e sullo sfruttamento intensivo delle risorse umane e naturali.
Mirga-Tas, con questa opera monumentale, si ispira a queste riflessioni. I grandi arazzi che la compongono sono suddivisi in tre fasce: nella prima da sotto sono rappresentate scene della vita quotidiana della comunità Rom di Czarna Gora (il Paese dei Carpazi polacchi ai confini con la Slovacchia dove vive l’artista), matrimoni, funerali, donne intente a eseguire lavori di cucito (un momento di aggregazione per le donne della comunità Rom); il secondo strato è una libera re-interpretazione del ciclo di affreschi allegorici sui Dodici mesi che si trovano nel Salone dei mesi del museo civico d’arte antica di Palazzo Schifanoia a Ferrara, mentre nella fascia superiore si trovano scene tratte da Bohémiens, una serie di incisioni del francese Jacques Callot (Nancy 1592 o 1594 – ivi 1635) che merita un breve discorso a parte. Secondo un suo biografo, Callot a dodici anni avrebbe abbandonato la sua città natale per un viaggio in Italia allo scopo di seguire la sua vocazione artistica e coltivare i suoi precoci talenti. Durante questo viaggio si sarebbe aggregato ad una carovana di zingari a cui avrebbe in seguito dedicato la celebre serie di incisioni in questione (sembra che vi si sia ispirato anche Charles Baudelaire per la sua lirica Bohémiens en voyage).
Si comprende così il nesso con il saggio di Silvia Federici. Le tre fasce sono collegate da
un’unica visione del tempo e della storia. Al di sopra di quella in cui sono rappresentate
scene di vita quotidiana della comunità Rom vi è la fascia mediana con la rappresentazione
allegorica del tempo legata al ciclo naturale delle stagioni. Al di sopra di queste vi sono le
scene tratte dalle incisioni di Callot, nelle quali è descritta una carovana di Rom in viaggio e
durante una sosta, che introduce il visitatore nella dimensione del viaggio. Il nomadismo è
l’elemento identitario che da sempre contraddistingue e caratterizza i Rom e li rende
radicalmente diversi da tutti gli altri gruppi sociali. La dimensione del viaggio, ma soprattutto il loro rifiuto di una fissa dimora, li proietta in un piano temporale radicalmente diverso dal nostro e che comprende in un unico insieme, nel suo perpetuo movimento, sia la vita quotidiana sia i cicli della natura e del cosmo (vi alludono i segni zodiacali rappresentati nella fascia ispirata agli affreschi di Ferrara). All’esatto opposto degli stereotipi sul mondo dei Rom, negli arazzi di questa mostra esso appare sotto la luce di una utopistica unità tra uomo e natura. Inevitabilmente tornano in mente le immagini dei meravigliosi quadri dipinti da Paul Gauguin a Tahiti, nel corso della sua “fuga” nel paradiso “esotico” polinesiano. Malgrado le distanze e le differenze, anche il cromatismo di questi arazzi ricorda quello del grande artista francese, i contrasti tra colori puri e il loro amalgamarsi in una visione armoniosa della vita. Re-enchanting the world, il titolo del saggio della Federici a cui si ispira il ciclo degli arazzi, allude proprio a questo utopistico superamento della scissione tra corpo e mente, tra razionalità e non cosciente.
L’allestimento della mostra aggiunge un elemento di suggestione: in quella che fu la Capilla
de Santa Ana (luogo esatto della prima sepoltura del navigatore genovese) sono esposti dei
paraventi con ritratti della famiglia dell’artista, mentre i grandi arazzi occupano le pareti di
quella che era stata la chiesa del complesso monastico, creando un interessante dialogo
con gli elementi architettonici del complesso monastico. Nella sagrestia, nelle nicchie che
una volta incorniciavano le tele del maestro del barocco spagnolo Francisco de Zurbaran
(1598-1664) oggi conservati nel Museo delle belle arti di Siviglia, sono esposti ritratti
realizzati con stoffe e tessuti screziati di celebri gitane, come la cantante di flamenco
Herminia Borja, originaria del Polígono Sur, il malfamato quartiere di Siviglia abitato da una
numerosa comunità gitana, oppure Juana Vargas de las Heras, meglio nota come ‘Juana la
Macarrona’ (1870-1947), una delle più celebri ballerine flamenco che si esibì anche a Parigi
e che contribuì in modo significativo alla popolarità di questa particolare forma di espressione artistica. Questa preziosa cornice offerta dal convento aggiunge alla mostra un
elemento di “dissacrante sacralità”. Per questo il visitatore è in grado di percepire il senso di
questa mostra anche senza ricorrere al paratesto. Infatti il contrasto tra le opere esposte e le architetture dell’edificio, la stimolante con-fusione tra arte sacra, arte popolare e arte
contemporanea, genera una tensione percepibile anche a un visitatore distratto.
Nel corso dei secoli successivi all’arrivo dei Rom in Europa (le prime testimonianze
storiografiche della loro presenza nel vecchio continente risalgono all’XI secolo), in relazione alla loro identità sono sorti una grande quantità di stereotipi, quasi sempre connotati negativamente. Spesso venivano accusati di stregoneria, spionaggio e furono vittime di persecuzioni e vessazioni di ogni tipo (naturalmente si tratta di un discorso che meriterebbe un’ampia e specifica trattazione). Per ricordarcelo, in una sala della mostra è presentata un’installazione realizzata con i frammenti di un monumento realizzato dall’artista nel 2011 a Borzęcin Dolny, dove nel 1942 era avvenuto uno dei tanti episodi del porrajmos (l’Olocausto Rom): l’esecuzione di 29 Rom. Nel 2016, cinque anni dopo l’inaugurazione, il monumento era stato vandalizzato da ignoti.
Anche se negli ultimi secoli non sono mancate sporadiche rappresentazioni di segno
positivo, molto raramente sono stati i Rom a raccontare la loro storia. E proprio in ciò
consiste il senso di questa mostra curata da Juan Antonio Álvarez Reyes, a cui ha
collaborato attivamente anche la rete della comunità gitana del Polígono Sur.
Malgorzata Mirga-Tas in Italia
Dopo la mostra che le ha dedicato Ferrara alcune opere di Malgorzata Mirga-Tas sono in mostra anche a Milano, alla Fondazione Prada nell’ambito della mostra “Paraventi: Folding Screens from the 17th to 21st Centuries” a cura di Nicholas Cullinan, aperta fino al 22 febbraio 2024