Riders, commesse, lavoratori precari e mobbizzati sono i protagonisti di "Per giusta causa", il brillante esordio letterario dell’avvocato Danilo Conte che ricrea la sua lunga esperienza in un social legal thriller
Uno dei più apprezzati e valenti avvocati del lavoro italiani rivela, nel suo folgorante esordio alla scrittura, un inconsueto talento letterario. L’idea al fondo del libro di Danilo Conte, Per giusta causa, (edito da Milieu) è tanto semplice quanto politicamente dirompente: trasformare una serie di cause seguite nel corso del tempo da materia consegnata ai freddi verbali giudiziari in una narrazione avvincente, capace di alternare registri opposti e di mescolare dramma e ironia. Non si ha voglia di smettere di leggere, racconto dopo racconto, i casi dell’avvocato Chiton, alter ego dell’autore, e ogni volta si vuol capire fin dove si spingerà il sopruso, il calpestamento di diritti fondamentali, il ricatto, l’estorsione, la disumanità esercitata da manager, padroni, capi e capetti in un crescendo di rabbia e incredulità, perché si è consapevoli che si tratta di storie vere, anzi verissime, per quanto letterariamente trasfigurate. E ogni volta si vuol vedere se alla fine, nelle aule del Tribunale del lavoro, sarà fatta giustizia e sarà data una pur parziale riparazione ai torti subiti dalle protagoniste e dai protagonisti delle vicende, dato che la politica non è capace di offrire alcuna soluzione strutturale, essendo anzi la prima causa della deregolamentazione del lavoro e della strage dei diritti in corso. Gli sfruttati del settore della logistica e i rider, la pianista assunta per due decenni dal medesimo teatro con 108 contratti “per esigenze temporanee” e i postini precari, i commessi sotto ricatto che devono tornare nel pomeriggio a lavoro gratis e i custodi costretti a far pipì in sacchi di plastica, la modellista mobbizzata per non aver assecondato il capo violento e maschilista e le ricercatrici di un noto istituto spremute per dodici anni da mane a sera, salvo poi essere liquidate sprezzantemente con la complicità bugiarda del barone universitario di turno: queste e molte altre storie spesso terribili, a volte surreali, vengono raccontate in un modo che attribuisce pieno spessore umano ai protagonisti, restituendo loro voce e dignità. Senza raccontare le loro vite precarie e fatte a pezzi, senza descriverne paure, difficoltà e speranze, queste persone sarebbero destinate a rimanere numeri e statistiche. L’operazione letteraria di Danilo Conte è quindi un modo efficace per far comprendere universalmente cosa sta succedendo nel mondo del lavoro, ed è anche una forma di retribuzione, capace di riportare al centro della scena quell’umanità ormai fatta scomparire dai processi e dalle aule dei tribunali, oltre a essere l’omaggio simpatetico di un avvocato verso coloro che mai è riuscito a vedere solo come clienti, nel corso della sua vita professionale.

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