Cos’hanno in comune otto donne nate in luoghi diversi del mondo, lontanissimi tra loro, di estrazione sociale differente e un tipo di vita dissimile? Cosa le accomuna, le rende capaci di intendersi senza esitazioni, infingimenti o dubbi? Nella prefazione al bel libro “ Le donne nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani” scritto da Enrica Simonetti, per Manni editore, l’autrice tratteggia un’unica grande passione civile che lega persone altrimenti destinate a combattere battaglie solitarie facendone un’unica grande forza. Non si somigliano l’americana Eleanor Roosvelt, (First Lady, già presidente della Commissione per i Diritti Umani nel’46), l’indiana di Mumbai Hansa Mehta, la dominicana Minerva Bernardino, la pakistana Shaista Suhrawardy Ikramullah, la danese Bodil Begtrup, la francese Marie Helène Leafucheux, l’allieva di Nehru Lakshmi Menone, la bielorussa Evdokia Uralova, ognuna raffigurata in una foto d’epoca. Ma lavorando insieme per due anni all’interno della Commissione per i Diritti Umani, rappresentanti di 53 Paesi del Mondo, tra cui solo otto sono donne, fecero sentire la loro voce.
Nel 1948 la Dichiarazione Universale dei diritti umani ha cambiato la Storia: trenta articoli studiati con cura estrema, sentendo il peso di ciò che gli esseri umani avevano patito dopo gli anni della seconda Guerra Mondiale, il Diritto della persona calpestato nelle persecuzioni razziali. Si è trattato di una riflessione internazionale attorno all’essere persona, una presa di coscienza collettiva che rende il 10 Dicembre di 75 anni fa un giorno storico: la firma da parte dell’assemblea generale delle Nazioni Unite di un documento frutto di due anni di intenso lavoro. Il Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite inserì otto donne nella Commissione dei diritti umani. E le donne che all’interno di quel mondo hanno contato sono ora nel libro della Simonetti, presentato l’8 Marzo a Bari, in occasione della giornata internazionale della Donna. Nel libro le biografie di ognuna di queste donne straordinarie: vite ricche di avvenimenti privati nei quali nessuna di loro ha mai perso di vista il legame fortissimo con la società in cui vivevano, da cui anzi erano motivate a costruire proposte da portare avanti. Se Eleanor Roosvelt lottava per le minoranze afroamericane, non temendo di creare imbarazzo all’importante marito presidente, dato il clima vigente di intolleranza razziale, la dominicana Minerva Bernardini, fiera oppositrice del dittatore Rafael Trujillo, nel 1940 rientrava in patria dopo un esilio ottenendo 1942 il diritto al voto per le donne. Attenta alle definizioni (è lei a pretendere nelle prime riunioni con gli altri delegati, che si dica, rivolgendosi loro, non “dear ladies” care signore, ma “distinguished delegates”,onorevoli delegati: sottigliezze eloquenti ma precise), e propone di lanciare una lettera aperta alle donne del mondo.
La delegata Begum Shaista Ikramullah, giunta “dalla invisibilità del velo” fino al Parlamento opponendosi alla segregazione e all’obbligo di coprire il corpo, la danese Bodil Begtrup che si batte per l’infanzia e per i diritti civili, la famiglia,la dignità abitativa. Fino alla rocciosa bielorussa Evdokia Uralova, che si è costruita passo dopo passo con studio e lavoro, e diventa ministra dell’Istruzione nel 1946 e che, da una Russia devastata da guerre e fame vuole rendere più umano il suo mondo ma non soltanto.
Nell’inserto finale del libro sono riportati i trenta articoli della Dichiarazione Universale, nell’articolo uno si dice: ”Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”. Anche qui la mano di una donna, l’indiana Hansa Mehta volle correggere la frase “all men are born free and equal”( tutti gli uomini) in “all beings “, tutti gli esseri umani, un significato che va oltre la singola definizione.
Scritto con chiarezza e con inconfondibile tratto femminile, il libro di Enrica Simonetti ricorda quanto questa Carta ha promosso la dignità dell’uomo e la pace nel mondo. Glielo chiediamo: “Ha contribuito moltissimo – risponde – anche se oggi, in un momento come quello che viviamo, e penso alle guerre, a quel che succede a Gaza ed Israele, all’Africa, alla Russia, alla violenza contro la donna, risulta ben difficile crederlo. Ma dobbiamo pensare a quel che ha significato negli anni, a come ha modificato i costumi, al senso di sé dato a tante altre donne che non avevano la parola”.
Qual’ è l’eredità di queste storie, di queste iniziative preziose, nelle donne, nelle persone oggi?
Grande eredità in termini di possibilità di libertà, di pretesa, di richiesta, ma soprattutto il messaggio che è importante sapere, leggere le vicende di chi ha pensato ad un mondo diverso ed ha lottato per ottenerlo. Nelle donne e nei giovani di adesso credo ci sia la stessa voglia di lottare. Ma è tutto più difficile”.
In tutte le vite di queste donne è importante lo studio, la preparazione.
E’ fondamentale, lo dico anche ai miei figli, bisogna studiare, studiare, non farsi trovare impreparati, bisogna coltivare la spinta a “non dormire”,la voglia di partecipare. Questa generazione di ragazzi non è “sdraiata”come ci si vuol far credere, sono preparatissimi sui temi ambientali, hanno voglia di farsi ascoltare, forse non riempiono le piazze come si faceva prima, e il momento è delicato in questo senso.Ma io sono un’inguaribile ottimista.
Il 27 Marzo 1958 Eleanor Roosvelt pronunciò un discorso pubblico che si intitolava “nelle tue mani” (“in your hands”) : i diritti sono anche il frutto del nostro modo di agire quotidiano, non solo una Carta, non solo i trenta articoli che hanno fatto la Storia.
La nostra vita è nelle nostre mani.
Fonte della foto in apertura: Unite per i diritti umani