This pact kills, vote no!(questo patto uccide, votate no). Queste grida sono risuonate ieri nel Parlamento europeo, durante la votazione del cosiddetto Migration Pact approvato ieri 10 aprile a Strasburgo. Ma ad uccidere l’Europa ci provano in molti e con ogni mezzo necessario, persino la guerra. Con i conflitti dichiarati, che vedono gran parte dei governi e dei parlamentari europei, schierati per riarmo e offensiva bellica, con quello silenzioso a migranti e richiedenti asilo che ha compiuto un ulteriore salto di qualità, in peggio.
Il Migration Pact, diviso in 3 parti e fondato su 5 pilastri, è il prodotto di un lavoro iniziato nel settembre 2020, quando la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen aveva presentato il New pact on migration and asylum, che avrebbe dovuto, nelle intenzioni delle autorità Ue, essere approvato in pochi mesi. Numerosi ostacoli sono stati immediatamente posti dal Gruppo di Visegrad, ma va detto per correttezza, che da nessuno degli Stati membri, sono venute spinte significative per cambiarne il senso e ricostruire il progetto di un’Europa accogliente. Si è arrivati a votare il testo nell’imminenza delle elezioni ed ognuno tenta di utilizzare il voto per scopi interni.
I 5 pilastri approvati, sotto il nome di “regolamenti”, dovranno ora trovare l’approvazione definitiva del Consiglio europeo ma lo schieramento variegato che si è creato ieri, dà l’idea della direzione che ha preso la frastagliata “maggioranza Von der Leyen”. Secondo le dichiarazioni della presidente della Commissione il Patto dovrebbe servire a gestire con un «regime di solidarietà fra gli Stati membri», in particolare quelli considerati come più esposti all’arrivo di richiedenti asilo. Chi ci segue ne è consapevole, ma impegnare le istituzioni europee, per un numero di fatto esiguo di persone che, con percorsi di reale accoglienza, non costituirebbe alcun problema. Ciò dimostra per l’ennesima volta l’inadeguatezza di questa Ue. Basti pensare che nel 2023 in Italia, Paese di 60 mln di abitanti sono giunte, via mare 158 mila persone e che nello stesso periodo, in Europa, 440 milioni di abitanti, ne sono arrivate 380 mila. Percentuali impercettibili rispetto alla popolazione ma, a causa di una gestione perennemente emergenziale e dell’uso strumentale del tema da parte delle forze di destra si diffonde un allarme di (inesistente) “immigrazione incontrollata”. Invece di affrontare le cause delle migrazioni forzate, magari operando per garantire anche la possibilità di vivere, in condizioni decenti, in Paesi pacifici, si è scelto di percorrere strade battute che non produrranno miglioramenti né per chi arriva né per chi accoglie.
In sintesi il piano è così riassumibile: norme uniformi per le procedure di identificazione; aggiornamento del database Eurodac per creare una banca dati comune per chi entra in Europa; creazione di procedure più rapide per l’esame delle domande d’asilo anche attraverso l’introduzione – in Italia già sperimentata – delle cd procedure accelerate in frontiera, destinate a chi proviene da Paesi ritenuti sicuri e da poter rimpatriare in 28 giorni; istituzione di un nuovo meccanismo grazie al quale, i Paesi a maggior impatto migratorio andranno sostenuti o attraverso il ricollocamento in paesi con meno arrivi o attraverso meccanismi di compensazione economica. In pratica chi rifiuta di accettare un ricollocamento si dovrebbe impegnare a versare 20 mila euro al Paese che ha accolto. L’ultimo pilastro dovrebbe entrare in funzione laddove si verifichino crisi ed emergenze che portino ad aumenti non previsti degli arrivi in uno Stato membro e in cui si richiede un celere intervento dell’intera Unione europea.
Nei 3 anni trascorsi, ci sono state però raccomandazioni che hanno portato già ad interventi mirati: il 2 marzo 2022 è stato creato l’ufficio di un Coordinatore che si occuperà di rendere più rapidi ed efficaci i rimpatri. Lo stesso anno, il 22 giugno 23 Paesi Ue, con il voto contrario del gruppo Visegrad, hanno raggiunto un accordo per le ricollocazioni di rifugiati. La mancata unanimità, ribadita da Repubblica Ceca, Slovacchia, Polonia e Ungheria, dimostra come il piano votato non sarà considerato vincolante. Il Patto ha incontrato il voto contrario dei gruppi europei più oltranzisti come Identità e Democrazia (in Italia rappresentato dalla Lega di Salvini), che lo considerano un accordo al ribasso che pretendevano un impossibile blocco delle frontiere. Dopo un dibattito e numerosi emendamenti, il testo è stato votato in 3 blocchi: gestione asilo e migrazioni, filtraggio frontiere esterne, situazioni crisi immigratoria. In maniera differente e con eccezioni, hanno espresso voto contrario il gruppo The Left e i Verdi. Articolato il voto di Liberali e gruppo Socialisti & Democratici (il Partito Democratico ha espresso voto contrario su due blocchi, approvando solo quello relativo alle situazioni di “crisi”. A favore quasi tutto il Partito Popolare Europeo, il gruppo ECR di Giorgia Meloni, la maggioranza di Liberali e Socialisti e, come già detto, gli estremisti di destra di ID.
Il testo è stato presentato dicendo di voler coniugare sicurezza e accoglienza. Sicurezza per fermare e cacciare, mediante rimpatri, i “migranti economici”, accoglienza per chi ha, secondo le istituzioni UE, realmente diritto all’asilo.
Il testo definitivo andrà letto in maniera più approfondita dopo che una valanga di emendamenti ne ha mutato la versione originale ma alcuni elementi sono certi. In pratica l’accoglienza ai richiedenti asilo sarà sottoposta a limitazioni forti, i rilievi dattiloscopici e le fotosegnalazioni per il database Eurodac, aggiornato, riguarderà obbligatoriamente anche i bambini al di sopra dei 6 anni e chi chiede protezione potrà anche essere temporaneamente privato della libertà personale, per lo screening e l’identificazione, anche se minorenne.
Ma la vera natura del Patto è nella limitazione del diritto d’asilo che rischia di non essere più soggettivo ma legato al Paese di provenienza. I singoli Stati, altro che comunanza di azione, avranno maggiori risorse per la detenzione, potranno utilizzare investimenti per concludere accordi per bloccare le partenze, come fatto con Turchia, Libia e Tunisia, spese comuni per i rimpatri. In definitiva detenzione, rimpatri, delocalizzazione dei Centri di trattenimento ed esternalizzazione delle frontiere, i soliti ingredienti, lasciati alla gestione dei singoli governi, che hanno soltanto reso il Mediterraneo come la rotta balcanica, veri e propri cimiteri.
Gran parte delle organizzazioni umanitarie, come Amnesty International, avevano chiesto di non votare il Patto, così come ha fatto la sinistra. La scelta, maturata con questo testo che innalza le mura della fortezza Europa, non solo è crudele e offensiva del diritto internazionale, ma è anche suicida. Bloccare l’accesso di chi chiede di entrare in Europa per lavoro, mettere a rischio chi crede protezione o asilo, in un periodo che vede l’intero continente, in particolare l’Italia, in pieno inverno demografico e con un forte bisogno di manodopera da regolarizzare, significa, in nome di qualche seggio in più a Strasburgo, privare anche l’imprenditoria di opportunità. Invece, con una votazione che ha spaccato il Parlamento – i voti favorevoli nei 3 blocchi hanno oscillato fra i 322 e i 301, i contrari fra i 269 e i 250 – si è scelto di respingere con ogni mezzo, anche illegale e violento, di perpetrare un crimine che va avanti da decenni.
Va registrato col patto, in conclusione, il fallimento della richiesta di modifica del Regolamento Dublino, quello che obbliga a chiedere asilo nel primo Paese Ue in cui mette piede. Poter arrivare in Italia, Grecia, Malta, per indicare i Paesi più esposti, e consentire di chiedere protezione nei Paesi in cui sussistono legami parentali o migliori prospettive di inserimento socio lavorativo, avrebbe reso meno dura la fuga e di minor impatto l’accoglienza. Ma l’Unione Europea resta egoista e sorda anche di fronte alla ragione.