Va rifiutata l’impostazione di chi afferma che certi delitti efferati siano opera del demonio o che non siano la conseguenza di situazioni patologiche. Non sempre la malattia mentale è evidente nel comportamento di una persona ed è innanzitutto necessario cercarla nella sua realtà non cosciente
Gli ultimi fatti di cronaca che ci parlano di delitti efferati senza movente richiedono, a noi psichiatri e psicoterapeuti formati con la Teoria della nascita di Massimo Fagioli, una presa di posizione necessaria per contrastare la ridda di interventi, sulla stampa e sul web, che ripropongono sempre e comunque il pensiero dominante. Tanto sono sconcertanti i fatti accaduti, quanto sono avvilenti le interviste rilasciate da specialisti del settore che, interrogati sulla natura dei gesti compiuti, hanno dichiarato la non riconducibilità del gesto ad una malattia mentale. Ci riferiamo in particolare ai delitti, susseguitisi nell’arco di pochi giorni, ai danni di una donna e di una famiglia. Il primo delitto è opera di Moussa Sangare, che ha accoltellato una giovane donna mai conosciuta prima. Una volta fermato, negava qualsiasi coinvolgimento; in un secondo momento, aveva confessato, nel colloquio con il gip, che quella sera aveva avvertito la “strana” sensazione di voler fare del male a qualcuno. Il giovane era uscito di casa armato di 4 coltelli e, dopo aver incontrato e minacciato due adolescenti, aveva visto una donna e immediatamente aveva deciso: sarà lei la vittima. Dopo il delitto getta tre coltelli nel fiume e seppellisce il quarto per conservarlo “così”, come souvenir. Moussa aveva già mostrato segni evidenti di malattia mentale: isolamento sociale, aggressività nei confronti della madre e della sorella (che lo avevano denunciato). Questo dato, unito a elementi come l’omicidio senza movente, l’assenza di emozioni, il rito del seppellimento del coltello con quella motivazione bizzarra e incongrua rispetto alla situazione, l’anaffettività che porta a colpire “così”, senza un motivo particolare, costituiscono un quadro sindromico che rientra a pieno titolo nel gruppo delle schizofrenie. Il secondo delitto è stato compiuto da un diciassettenne, Riccardo, che non aveva mai apparentemente manifestato segni evidenti di malattia mentale né comportamenti tali da richiamare l’attenzione di chi gli stava accanto. I giornali riportano che il ragazzo, descritto come «un bravo ragazzo, che aiutava in casa», avrebbe inflitto 68 coltellate, la maggior parte delle quali al fratello minore. Durante l’interrogatorio dice: pensavo che «una coltellata sarebbe bastata», «era da giorni che volevo risolvere il mio malessere, ma non sapevo come». Inoltre racconta una sensazione di «estraneità».

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