Amir Reza Koohestani, regista e drammaturgo tra i più rilevanti del panorama iraniano contemporaneo. In Italia è noto soprattutto per il suo Dance on Glasses, uno dei suoi primi spettacoli col Mehr Theatre Group agli inizi degli anni Duemila e per la sua partecipazione alla Biennale teatro di Venezia con Blind runner.
Ma facciamo un passo ancora indietro: Nei primi anni della sua carriera teatrale Koohestani ha lavorato come drammaturgo radiofonico con opere che fin da subito testimoniano una profonda ricerca politica, culturale e artistica che gli ha permesso di portare il teatro iraniano all’attenzione internazionale. Il suo lavoro affronta tematiche universali come l’interiorità e le relazioni sociali, mantenendo sia una connessione profonda con la cultura iraniana che al contempo un’apertura verso temi più globali come le migrazioni in Europa, intrecciando un approccio “minimalista” e simbolico insieme.
Mantenendo un legame costante con la cultura e i problemi sociali del proprio Paese di origine, trova spesso un filo emotivo e concreto connesso al mondo occidentale, con pubblico straniero, interrogandoci su questioni politiche e emotive con produzioni caratterizzate da un’eleganza visiva e una narrazione che lascia sempre spazio a un’interpretazione aperta.
Il suo lavoro si basa sulla voce e sul dialogo, utilizzando un linguaggio semplice e moderno. Uno dei migliori modi per descrivere le sue opere forse lo fornisce lui stesso quando dice: “I miei testi teatrali raccontano sempre una storia e sono centrati sui personaggi, ma sono aperti, senza un finale definitivo.” (cfr www.ilna.ir).
La sua scrittura si muove tra simbolismo e realismo, passando dalla descrizione documentaristica della vita quotidiana a una dimensione immaginaria di profonda ricchezza poetica. Le sfumature della vita quotidiana si intrecciano con un simbolismo che spesso ha radici proprio nella sua cultura di origine. Questo approccio alla narrazione lascia in fin dei conti allo spettatore la libertà di decidere la propria verità, quella potrà accogliere in quel momento della sua vita e con cui entrerà o meno in risonanza più profonda.
Koohestani usa la fiction per esplorare temi reali, creando un mix fra documentario e immaginazione. Una capacità di immaginare che, come afferma Joëlle Chambon, “gli artisti europei sembrano talvolta aver perso”. Al contempo Koohestani nelle sue opere fa tesoro di modalità che ricordano molto alcune tradizioni teatrali europee che continuano una ricerca di una terza via, appunto tra documentario e narrazione immaginativa. Chambon sostiene inoltre che il percordo di Koohestani sia dettato dalla sua lingua: il vocabolario persiano è breve, e la sfumatura si esprime meno nel lessico che nella metafora o nell’ironia, ossia nell’arte dell’aggiramento.
La combinazione di elementi di teatro simbolista e realistico, a volte integrando al contempo convenzioni del teatro tradizionale iraniano (come alcuni suoi spettacoli della produzione iraniana, entra anche nella messa in scena con elementi non verbali.
Il regista ci invita a spettacoli che si basano prima di tutto su un testo forte, drammatico e strutturato, e l’aspetto più importante di questo è che tutti gli elementi creativi dello spettacolo sono al servizio dell’idea e del testo principale, senza mai uscire dal mondo teatrale. La scrittura è poetica e realistica.
Koohestani, nelle opere con le produzioni europee, spesso racconta storie che si intrecciano in una città-mondo, dove ogni personaggio è in movimento e “spostato” con attori che parlano tedesco, farsi, arabo, francese e altre lingue europee. L’uso della diversità linguistica gli consente di utilizzarle come strumento per esplorare temi di incomprensione e del potere legato all’uso o non uso di una lingua.
La struttura scenica nelle sue opere è spesso costellata da video, proiezioni e riprese in real time, permettendo di amplificare la profondità del personaggio e del tema dello spettacolo. Nelle produzioni della sua compagnia, la Mehr Theatre Group, spesso vediamo movimenti scenici integrati con riprese in tempo reale del volto degli attori, creando un quadro multidimensionale della loro presenza sul palco. Le videoproiezioni sono così utilizzate per almeno due piani di realtà, quello visibile e quello nascosto dei personaggi, rivelando la molteplicità interiore ed esteriore. L’uso delle tecnologie nelle sue opere quindi è sempre presente e significativo pur mantenendo un approccio minimalista e strettamente funzionale.
Joëlle Chambon nel suo articolo “Amir Reza Koohestani, un dramaturge européen?” riporta proprio su questo tema: “il dramma esplora le sue tracce attraverso immagini e discorsi compositi, creando un “poema teatrale”. La scenografia multimediale nelle sue opere non si manifesta come “privilegiata” e mantiene il suo ruolo funzionale, essendo al servizio della narrazione.
Dal 2016, Amir Reza Koohestani è costantemente attivo in Europa e in Germania dove attualmente risiede. Ha realizzato senza la sua compagnia, in qualità di regista, diverse opere teatrali in Germania, Svezia e Francia con temi presi quasi esclusivamente dalla cultura europea, mentre con la sua compagnia ha sviluppato invece direzioni prevalentemente legate a tematiche contemporanee. Uno dei temi più noti nelle sue opere è la migrazione. L’artista critica l’ipocrisia delle politiche europee nei confronti dei paesi del Medio Oriente e il problema irrisolto della migrazione, nonché un’Europa meno accogliente nei confronti dei nuovi cittadini stranieri. Riflette inoltre sulla difficoltà di sfuggire alle etichette imposte dalla società e dal pubblico, che si aspettano da lui narrazioni legate esclusivamente alla sua esperienza di outsider o migrante, in particolare riguardo alla realtà iraniana. Il teatro europeo sembra non essere ancora pronto ad accogliere un autore “straniero” che riesca a portare in scena un dramma borghese senza associarvi etichette geografiche. (cfr intervista aVenezia con «Blind Runner», fra Iran e Europa)
Maria Stuarda è l’ultimo progetto firmato da Amir Reza Koohestani con la produzione del Teatro di Stato della Bassa Austria a St. Pölten, andato in scena a settembre 2024.
Il regista, con la sua coautrice Mahin Sadri, ha trovato un adattamento innovativo della storia di queste due regine. Nella commedia di Schiller, Maria ed Elisabetta si chiamano a vicenda “sorella”. “Una ha amore ma non ha potere, e l’altra ha potere ma non amore”, dice l’autrice Mahin Sadri (cfr Landestheater.net). Schiller ritrae la rivalità politica e personale tra le due regine e allo stesso tempo la mette in discussione. Koohestani / Sadri rafforzano la drammaturgia dell’immagine speculare disponendo i personaggi simmetricamente attorno ai poli Maria ed Elisabetta condensando il classico in un “intimo spettacolo da camera con due regine, due amanti, due cameriere e una guardia”. I sosia sono un motivo letterario e artistico comune, spesso ripreso anche da Franz Kafka e che si ritrova nei primi lavori teatrali di Amir Reza Koohestani. A differenza dell’originale, sono le donne / sosia sono più coinvolte nella trama: “Abbiamo dato tanto spazio alle cameriere di Elisabetta e Maria Stuarda perché rappresentano le voci che spesso non vengono ascoltate. Nella nostra versione, vivono la politica da vicino, sviluppano il proprio atteggiamento nei suoi confronti e prendono le proprie decisioni” (cfr Mahin Sadri ).
Le cameriere salutano Elisabetta perché non vogliono sostenere le rimostranze del sistema politico. Forse si uniranno alla rivolta fuori dalle mura del castello. In ogni caso rappresentano la voce di chi spesso non viene ascoltato. “Per me, questo è un forte ponte con ciò che sta accadendo in Iran”, ha affermato Amir Reza Koohestani. Anche in questa opera, sul palco troviamo attori multilingue, dal tedesco al persiano. Koohestani e Sadri in questa versione sfidano la politica attuale europea che cammina verso i populisti. Come citato dal sito di www.tangente-st-poelten.at: “L’opera evidenzia l’importanza di usare l’arte per fare luce sulle ingiustizie e sfidare le strutture politiche oppressive”.
In un’intervista (Intervista a Amir Reza Koohestani, Landestheaterniederoesterreich, pagina Instagram, settembre 2024), esprime l’idea che ci sono donne che hanno la capacità di essere ottime regine o politiche, ma il sistema sociale o politico in cui vivono non consente loro di esercitare pienamente questi ruoli. La struttura scenica ci fa ricordare la macchina scenica del teatro greco “ekkyklema”, rivisitata e digitalizzata con pannelli trasparenti per la proiezione di video ripresi in tempo reale o registrati. La scenografia come elemento dominante che controlla e dirige attraverso la “macchina”. Elisabetta cerca fin dall’inizio di non alimentare la violenza e l’aggressività, ma alla fine non ha altra scelta, perché il sistema non lo permette. L’autore ribadisce che l’obiettivo principale è stato la creazione di questa macchina in cui le persone hanno difficoltà a sopravvivere, ossia lui si sente in dovere di creare situazioni difficili o sfidanti per i personaggi, quasi come se fosse una sua responsabilità artistica mettere alla prova i personaggi e mostrare le loro reazioni in condizioni estreme.
Pigmalione, di George Bernard Shaw, è il testo elaborato da Amir Reza Koohestani, con la produzione del Residenztheater, in cui mette in discussione l’influenza sempre più rilevante dell’AI e il ruolo della tecnologia sulla società contemporanea e nel modellare le nostre identità. Nella variante di Ovidio “Pigmalione e Galatea” (“Metamorfosi” X), uno scultore crea una statua di una donna di cui si innamora e Afrodite le dà vita. Nella commedia di George Bernard Shaw, rappresentata per la prima volta al Burgtheater di Vienna nel 1913, un professore di Fonetica scommette con il suo amico di trasformare entro sei mesi una venditrice di fiori ignorante in una signora di alta borghesia. Attraverso un intenso addestramento linguistico e di buone maniere, lui e la sua collega la trasformano, non solo esteriormente, una giovane donna sfacciata e sicura di sé in una brava signora che lotta con il suo nuovo ruolo e le sue aspettative.
Il tema dell’AI è uno dei temi più attuali nella nostra società. Indubbiamente l’uso dell’intelligenza artificiale è paragonabile ad eventi importanti come l’invenzione della stampa o l’utilizzo dell’elettricità. Le reti neurali dell’intelligenza artificiale selezionano la protagonista da una varietà di possibili candidati, un aspetto che rende il testo particolarmente attuale poiché invita il pubblico a riflettere sul ruolo della tecnologia nel determinare i destini umani in futuro e le reti neurali potrebbero cambiare il nostro futuro, quello privato, quello professionale o persino la nostra libertà (cfr www.adoringaudience.de).
Anche in questo spettacolo, il tema centrale si concentra sulla figura di una donna, come sottolineato dagli autori dell’opera. Così dice in un una intervista: “Eliza è una donna della classe operaia che non appartiene a nessun posto: nemmeno a suo padre che beve e non ha interesse per lei, né per il professore che abusa di lei per la sua vanità egoista. La lotta per definire se stessa, la propria identità, è al centro del nostro approccio all’opera di Shaw.”
Woyzeck Interrupted di Georg Büchner, non può essere considerato semplicemente un’opera sulla violenza domestica, nonostante vi si consumi un femminicidio. Questo atto di violenza, che ha avuto una lunga tradizione nella letteratura drammatica, si inserisce nel contesto di un’umanità segnata dalla gelosia, uno dei motivi che spingono Woyzeck ad accoltellare Marie.
L’ispirazione di Büchner, datata 1821, si lega a un crimine passionale. Oggi, in Germania, dove ogni tre giorni una donna viene uccisa da un marito o ex marito, la tragedia del femminicidio trova nuova vita nella versione del “Woyzeck” di Koohestani e Sadri dove non parlano di singoli casi, ma cercano relazioni del potere di genere e della violenza strutturale nella vita privata.
Quello che trovano sono modelli, che mostrano anch’essi ma non per riprodurli, bensì per interromperli. Gli autori propongono una nuova via: trasgressione delle regole / innovazione radicale / rompere il costrutto. Il tema della “rottura” si manifesta nella struttura drammaturgica del testo dove la protagonista interrompe la gravidanza e il Covid interrompe le prove. Così in un suo intervento.
La scena è una sorta di casa delle bambole a più livelli, e le stanze sembrano schermi. La struttura scenica enfatizza la sensazione di separazione, quarantena, isolamento. Da un lato è la metafora della situazione sociale del periodo del Covid nel 2020, dall’altra parte rappresenta le relazioni contemporanee mediate dalla tecnologia. L’uso costante delle immagini / video nella narrazione dei personaggi sottolinea la presenza rilevante della tecnologia / immagine nella vita dei personaggi. La narrazione non lineare e le scene frammentate, grazie all’utilizzo degli schermi e delle proiezioni, riflettono anche lo stato mentale di Woyzeck e la difficoltà di comunicare nel mondo digitale.
Lo spettacolo non è riuscito a conquistare pienamente i critici teatrali tedeschi, nonostante un cast perfetto e una realizzazione impeccabile.
In un mondo sempre più globalizzato, il teatro di Koohestani rappresenta un invito a guardare oltre le etichette geografiche e culturali, a interrogarsi sulle dinamiche del potere e sulle ingiustizie che caratterizzano la nostra società. Le sue opere non solo toccano le corde dell’anima, ma stimolano anche una riflessione critica sul presente e sul futuro, dimostrando che il teatro può essere un potente strumento di cambiamento e di dialogo tra mondi apparentemente distanti. Amir Reza Koohestani con la sua arte ci ricorda che il teatro è un luogo di incontro, di confronto e soprattutto di libertà.
L’autrice: Mahnaz Esmaeili è direttrice artistica e docente a contratto dell’Università Sapienza di Roma
Foto di Arno Declair