Pamela Genini aveva 29 anni. È stata uccisa a coltellate dal compagno, a Milano. Lui non ha accettato la sua libertà. Una donna punita per avere espresso la propria volontà. È cronaca che ritorna: un «no» trasformato in condanna.
Non è gelosia. È la cultura del possesso che scambia l’amore con il dominio e la libertà femminile con una minaccia. È il lessico che addolcisce la violenza, titoli che parlano di raptus, interviste che cercano attenuanti, giornali che raccontano il carnefice come una vittima del momento.
Ogni femminicidio accade dentro un sistema che ancora non riconosce il rifiuto come diritto. Il «no» di una donna è percepito come affronto. Prevenire significa credere alle donne, costruire reti che funzionino prima e dopo la denuncia, formare chi ascolta le loro parole, proteggere chi decide di uscire.
Intanto la politica imbocca una scorciatoia: un emendamento che cancella dalle scuole medie l’educazione sessuale e affettiva. Si toglie ai ragazzi lo spazio in cui si impara il consenso, si nominano i confini, si riconosce la violenza. È un arretramento culturale profondo. Chi rimuove quella lezione rinuncia a fare prevenzione e preferisce tornare alla rassegnazione.
Ogni volta che l’Italia spegne la voce dell’educazione, lascia parlare la cronaca nera. Ricominciare da lì – dall’educazione affettiva obbligatoria, con docenti formati e programmi verificati – non è ideologia: è sopravvivenza civile. Cancellarla è scegliere l’ignoranza come politica pubblica.
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