Secondo i parametri stabiliti dagli standard internazionali sui diritti umani, i quilombolas sono riconosciuti come gruppi etnico-razziali assimilabili ai popoli tribali.
Ogni comunità quilombola è caratterizzata da una propria storia unica, da un percorso specifico e da un forte legame con l’eredità nera della resistenza contro l’oppressione storica.
In Brasile si contano circa 1,3 milioni di quilombolas distribuiti in 1.700 comuni. Dal 2019 al 2024 sono stati registrati 46 omicidi di leadership coinvolte nella difesa dei diritti umani, come riportato dal progetto Resistenza Quilombola, sviluppato dal Coordinamento Nazionale delle Comunità Nere Rurali Quilombolas (Conaq) in collaborazione con Cospe (Cooperazione per lo Sviluppo dei Paesi emergenti).
Nello stesso periodo sono stati documentati 58 casi di minacce di morte, di cui 33 rivolte a donne leader delle rispettive comunità. In molti episodi, gli stessi agenti pubblici, spesso legati a grandi proprietari terrieri, sono responsabili della distruzione di abitazioni, coltivazioni e delimitazioni illegali delle terre, contribuendo a un clima di terrore diffuso tra le comunità.
Le origini di queste minacce risiedono nella brama incontrollata di sfruttare le ricchezze delle terre in mano ai quilombolas. Lottizzazioni abusive, estrazioni illegali di risorse naturali, omicidi e campagne intimidatorie mirano ad ostacolare chi lotta per i diritti di proprietà delle comunità e difende lo sviluppo sostenibile del proprio territorio.
Il rapporto Vite Interrotte1 (2025) rileva che la maggioranza delle vittime ricopriva ruoli di leadership o aveva legami stretti con figure strategiche della resistenza quilombola. Le loro lotte miravano spesso alla protezione della biodiversità e alla salvaguardia dei territori contro pressioni economiche esterne. In quasi il 48% degli omicidi documentati, i principali sospettati risultano essere pistoleri assoldati per esecuzioni pianificate da individui quasi mai identificati, spesso vicini di terra o proprietari terrieri coinvolti nei conflitti con le comunità.
Ad agosto 2023, Maria Bernadete Pacífico, conosciuta come Mãe Bernadete, è stata brutalmente assassinata con 25 colpi di pistola sul viso all’interno della sua abitazione, davanti ai nipoti. Figura spirituale e leader quilombola di riferimento per la CONAQ, l’omicidio della 76enne ha suscitato forte indignazione e una severa condanna da parte delle Nazioni Unite. Durante una visita ufficiale a Luanda, in Angola, il presidente Lula ha reso omaggio a Mãe Bernadete presso l’Assemblea nazionale.
Come guida del Quilombo Pitanga dos Palmares nello stato di Bahia, Mãe Bernadete aveva denunciato ripetutamente attività illegali come il disboscamento e l’estrazione non autorizzata nella sua comunità. La sua tragica fine segue quella di suo figlio, Flávio Gabriel Pacífico dos Santos, assassinato nel 2017 dopo aver denunciato narcotrafficanti e aziende coinvolte nella deforestazione del suo territorio.
Left ha intervistato la delegazione Conaq, al termine di un tour europeo dedicato al dialogo con università, centri di ricerca, commissioni tematiche dell’Onu e diverse istituzioni europee.
Per Nathália Purificação, giornalista proveniente dal quilombo Velho Chico, Stato di Bahia, nonché responsabile della comunicazione della Conaq, l’assassinio di Mãe Bernadete rappresenta un avvertimento diretto alle donne leader del movimento quilombola, che costituiscono attualmente la maggioranza della leadership e stanno ottenendo sempre maggiore visibilità.
Nathália evidenzia una differenza cruciale negli approcci tra le leadership femminili e quelle tradizionali maschili: le donne apportano uno stile più empatico e comunitario, fondato sulla cura e sul sostegno incondizionato a tutti i membri della comunità, spiega lei, utilizzando l’espressione “maternar o território”. Da leader anche spirituali legate alle religioni africane, le donne quilombolas sono spesso prese di mira da gruppi evangelici ostili, affrontando una percezione di “tempo limitato sulla Terra”, come una “data di scadenza” imposta sulle loro vite, più corta rispetto a quella degli altri.
Maria Aparecida Ribeiro de Sousa, coordinatrice nazionale della Conaq e del collettivo di donne quilombola, individua nell’agribusiness, nell’industria del legname e in quella mineraria i principali ostacoli per le comunità quilombola. Parlando della violenza sulle donne, sottolinea che anche nei quilombos si riscontra violenza domestica, spesso legata alla difficoltà degli uomini di accettare il ruolo di leadership assunto dalle loro compagne, scelto dalla comunità o legato alle loro radici africane. Spiega come, talvolta, i conflitti emergano quando gli uomini accusano le donne di trascurare i figli o le faccende domestiche a causa del loro impegno nel movimento. Questi, invece di vedere nelle partner una risorsa anche per sé stessi, le percepiscono come un ostacolo o una minaccia.
Come responsabile del progetto Resistenza Quilombola, il pedagogista José Maximino Silva osserva che, nonostante l’apertura al dialogo del governo Lula, rispetto a quello di Bolsonaro, non si sono evidenziati progressi significativi per le comunità. Sebbene il governo attuale abbia creato spazi di ascolto, spesso le richieste e i bisogni delle comunità non trovano un riscontro concreto. La debolezza dei programmi di protezione delle leadership quilombola, afferma Silva, risiede nei ritardi nell’applicazione delle leggi. “Sono programmi gestiti a livello dei singoli stati federati” spiega “e questa decentralizzazione si rivela spesso inefficace a causa dei legami tra il potere locale e la criminalità organizzata”.
Nathália Purificação evidenzia come i neri brasiliani, per sopravvivere, abbiano spesso rinunciato all’aspetto mistico delle culture africane. L’omicidio di Mãe Bernadete, ricorda, è stato influenzato non solo dalla sua lotta per la difesa del territorio, ma anche dai pregiudizi contro le sue credenze religiose. In questo contesto, José Maximino fa notare l’aumento significativo delle conversioni alle sette evangeliche nei quilombos, un fenomeno analogo a quello osservato tra le popolazioni indigene. Questo cambiamento ha causato un crescente isolamento degli anziani e di coloro che si rifiutano di abbandonare le proprie tradizioni e la loro storia.
C’è unità tra il movimento quilombola e gli altri movimenti di lotta per la terra, come quello indigeno, chiarisce Maria Aparecida Ribeiro de Sousa. In Amazzonia, ad esempio, ci sono quilombos riconosciuti dal governo, simboli di identità e resistenza comuni tra i popoli africani schiavizzati dai coloni e le popolazioni indigene locali. “La logica della separazione tra i movimenti non ci riguarda. Pur riconoscendo le particolarità di ciascuno, siamo uniti. È chiaro che le nostre rivendicazioni differiscono da quelle dei movimenti che emergono e combattono nelle realtà urbane; tuttavia, quando arriva il momento di scendere in strada, troviamo un punto di incontro e marciamo insieme”, conclude.
L’autrice: L’avvocata per i diritti umani Claudiléia Lemes Dias è scrittrice e saggista. Tra i suoi libri Le catene del Brasile (L’Asino d’oro ed.) e il nuovo Morfologia delle passioni (Giovane Holden ed.)





