Non si è trattato di razzismo ma di esasperazione. È così che il sindaco di Roma, Ignazio Marino, ha sintetizzato quanto accaduto durante la settimana scorsa nel quartiere di Tor Sapienza. È stata definita una periferia che nell’immaginario collettivo faceva pensare a un luogo sperduto fuori dal Grande raccordo anulare, ma non è così.
Tor Sapienza è ancora dentro quella linea di confine, solo che fa parte dell’area cittadina trascurata e dimenticata dagli amministratori locali. Ecco perché i suoi residenti, estenuati da uno stile di vita ai margini, per mettere in luce le loro difficoltà, hanno trovato un capro espiatorio: i richiedenti asilo accolti nel centro di viale Giorgio Morandi. La decisione di colpire quel bersaglio al motto di “rubano e stuprano le donne”, è stata presa da poche persone e supportata, ben presto, da molte altre, dando inizio a una manifestazione, durata cinque giorni, al termine della quale l’obiettivo è stato raggiunto: l’arrivo del sindaco e l’avvio di una discussione sulle questioni cruciali per il miglioramento di Tor Sapienza.
Ma la trattativa tra il primo cittadino e tutti gli altri, avvenuta all’interno di un bar del quartiere, non poteva tenersi già nelle ore seguenti l’inizio delle manifestazioni (la notte tra domenica 9 e lunedì 10 novembre)? Perché, il fatto di aver atteso sino al venerdì ha provocato molti danni, e non solo alla struttura colpita dalle bombe carta e dalle pietre. Ha fatto sì che la rabbia iniziale montasse al punto da intimidire i 72 ospiti a uscire dal centro di accoglienza. I più audaci, che in quei giorni hanno tentato di recarsi a prendere un caffè fuori dalla struttura, sono stati aggrediti e insultati con parole davvero offensive. Gli altri guardavano dalle finestre con aria sbalordita e impaurita e alcuni filmavano le scene di guerriglia urbana di cui, in quel momento, erano la causa.
Le immagini di quei giorni sono state rappresentative del degrado che in questo caso non si limita certo alle cartacce per terra, alle aiuole sporche o ai cassonetti sempre colmi. È un degrado culturale e morale che progressivamente, negli ultimi anni, ha investito l’intera città. E lo dimostrano anche la collocazione e la capienza stesse di quella struttura di accoglienza, così lontane da quanto previsto dalle linee guida europee per cui il sistema da adottare è quello dei piccoli gruppi di migranti in piccoli centri urbani. È solo a queste condizioni che si può pensare a un piano davvero efficace che esprima il senso dell’accoglienza. Il resto genera isolamento, paure, emarginazione e desolazione. Conseguenze dannose per tutti, non solo per gli immigrati.