Le biblioteche non solo come luoghi di studio e di lettura, ma anche come luoghi di incontro e di impegno civile, contro ogni forma di violenza e di fondamentalismo. Aprire le biblioteche al dibattito e all’approfondimento, farne un luogo di integrazione e di dialogo interculturale è il tema forte degli Stati generali dei professionisti del patrimonio culturale che si svolge il 19 e il 20 novembre alla Biblioteca nazionale di Roma, organizzati dalle associazioni rappresentative di Musei (Icom), degli Archivi (Anai) e delle biblioteche (Aib), dal 2011 riunite nel coordinamento Musei archivi e biblioteche (Mab). Pochi giorni dopo la strage nella redazione del giornale satirico Charlie Hebdo, R. David Lankes, docente di biblioteconomia alla Scuola di studi sull’informazione dell’Università di Syracuse e direttore dell’Information Institute di New York si interrogava su come riuscire a trasformare le biblioteche in presidi culturali che aiutano la conoscenza contro il terrore, su come farne dei luoghi sicuri dove poter acquisire gli strumenti per capire le radici culturali degli attacchi omicidi dell’Isis e non solo.
«Per poter rispondere a questo compito – scrive Lankes, nel documento che dà il la agli Stati generali di Roma – le biblioteche dovrebbero essere sempre un luogo sicuro dove poter esprimere la libertà di espressione, dovrebbero ospitare discussioni e forum sulla libertà di espressione e sulla democrazia, ospitare un evento convocando le diverse fedi, o ancora delle sedute con psicoterapeuti e genitori su come far sentire sicuri i ragazzi ». Il punto, dice lo studioso «è riuscire ad utilizzare l’accaduto come opportunità per la biblioteca di essere un luogo sicuro per esprimere le emozioni e aiutare in tal modo li cittadini». L’arma che possiamo usare contro la violenza è l’informazione e la capacità di capire, dice Lankes, rievocando ciò che gli accadde l’11 settembre 2001 in una testimonianza che potete leggere qui di seguito.
Proprio a partire da questo testo al congresso del 19-20 novembre le associazioni del Mab formuleranno, a conclusione dei lavori, una proposta di offerta formativa congiunta. «Il dato decisamente confortante è che ogni anno i cittadini italiani continuano a visitare i musei, frequentare mostre ed eventi culturali, utilizzare i servizi di biblioteche ed archivi – dice Daniele Jalla, presidente Icom Italia – Cercare di migliorarsi per chi lavora nel campo culturale vuol dire in primis non deludere le aspettative della gente. Puntare sulla cultura così come riconoscere pieno titolo alle professioni del patrimonio culturale significa contribuire alla costruzione di una democrazia più forte». Il 24° congresso Icom che si terrà a Milano dal 3-9 luglio nel 2016 vedrà riuniti 4mila operatori museali provenienti da 136 paesi differenti che si confronteranno sul tema Musei e paesaggi culturali. «Gli archivisti lavorano su tre fronti: conservare e valorizzare il passato; contribuire al presente col funzionamento degli archivi correnti, salvaguardare il futuro con nuove visioni strategiche. Questo Congresso Mab alla Nazionale di Roma significa la concreta possibilità di confrontarsi sul futuro del patrimonio culturale condividendo pensieri e proposte per nuove collaborazioni», ribadisce Maria Guercio, presidente Anai.
La testimonianza di David Lankes
«L’11 settembre 2001 ero direttore della Clearinghouse on Information & Technology. Andai a lavorare quel giorno poco dopo che il primo aereo aveva colpito le torri gemelle del World Trade Center. Dopo che il secondo aereo aveva colpito l’intero personale della Clearinghouse si raccolse nel mio ufficio per guardare la tv. Inorridito e un pochino stordito, mandai tutti a casa. Quello
era il momento di stare con le proprie famiglie. Nel corso della settimana successiva ci siamo incontrati per porci esattamente la stessa domanda che mi è stata posta in questi giorni: “Cosa dovremmo fare?” A quel tempo fornivamo un servizio chiamato AskERIC che riceveva centinaia di domande di consulenza virtuali ogni giorno oltre ad avere un sito molto frequentato per gli educatori. La risposta che abbiamo trovato era di sviluppare InfoGuides sull’attacco che aggiornavamo man mano che se ne capiva di più anche sulle questioni collegate. Abbiamo postato le informazioni in rete e le abbiamo inviate anche con e-mail. La risorsa più vista/utilizzata che abbiamo sviluppato era sull’Islam.
Ciò che ho ricavato da quell’episodio era che sulla scia della tragedia, le persone cercano la capire e vogliono conoscere quello che non sanno. Quindi i bibliotecari devono informare le loro comunità attraverso le FAQs, creare un archivio della copertura mediatica per creare una precisa memoria dell’evento, e tante opportunità per interazione tra culture, razze e idee. La seconda lezione che ho da offrire l’ho imparata dalle biblioteche che hanno operato a Ferguson (Missouri) durante i disordini razziali dello scorso anno: hanno aiutato la comunità a sviluppare la propria narrazione. Durante i disordini e la violenza a Ferguson le biblioteche pubbliche (Ferguson Public Library e Saint Louis Country Public Library) non solo sono rimaste aperte e hanno fornito un luogo sicuro per i bambini e i cittadini, ma hanno offerto una narrazione alternativa alla violenza. Mentre gran parte dei media si sono concentrati sulle azioni della polizia contro la comunità di colore, le biblioteche hanno utilizzato i social media, i media tradizionali, e persino la cartellonistica fuori dagli edifici per parlare di Ferguson come di una famiglia. Essi hanno messo in luce come con le scuole chiuse, gli educatori, i bambini e i genitori si sono uniti per creare la loro scuola su misura tra le corsie e gli scaffali delle biblioteche. Anziché permettere alla loro comunità di essere dipinta esclusivamente come folle nere arrabbiate che combattono contro una polizia militarizzata, le biblioteche hanno mostrato Ferguson come un luogo di razze diverse che si raccolgono attorno ai bambini, all’apprendimento, e al desiderio di avere un futuro migliore. Le biblioteche non hanno diminuito la portata del conflitto, ne’ hanno ignorato il razzismo dilagante. Eppure le biblioteche non hanno chiuso, ne’ si sono ritirate. Le biblioteche – no, meglio, i bibliotecari – hanno fatto qualcosa e hanno mostrato al mondo che Ferguson non è così diversa da Syracuse, o da Seattle, o da comunità in tutto il Paese e che come quelle comunità, esse sono molto di più che non titoli di giornale. Esse hanno “umanizzato” una narrazione.
Ciò che ho portato con me da Ferguson era che le biblioteche non solo forniscono una spazio costruttivo; esse aggiungono profondità di comprensione del mondo. Danno alla comunità possibilità di respirare, vivere il lutto, riflettere, e quindi agire e parlare. La mia ultima lezione viene dai bibliotecari di Alessandria durante la Primavera Araba. Nel bel mezzo dei disordini e degli sconvolgimenti civili, i manifestanti hanno protetto la biblioteca. Laddove molti edifici governativi erano stati distrutti e saccheggiati, la biblioteca era stata protetta. Perché? Perché per gli anni prima dei disordini e dell’insurrezione, i bibliotecari avevano fatto il loro mestiere. Essi sono diventati risorse fidate per le comunità perché hanno fornito veri benefici al cittadino medio di Alessandria e servizi intellettualmente onesti. La lezione, quindi? Continuate ad essere le risorsa per le vostre comunità. Continuate a dimostrare i valori del mestiere del fare il bibliotecario: onestà intellettuale, sicurezza intellettuale e fisica; apertura e trasparenza e l’importanza dell’apprendimento continuo.
Ciò che spero facciano le biblioteche francesi è ciò che io spererei di avere il coraggio di fare se fossi al loro posto: essere un luogo sicuro per parlare e imparare riguardo alle questioni pericolose. Invitare tutte le fedi a parlare sul come eliminare la violenza e sul come reagire. Fornire accesso pronto a Charlie Hebdo e ai materiali controversi. Parlare (ospitare interventi, discussioni dei cittadini, eventi) dell’importanza della libertà di espressione in una società libera.
Aiutare a forgiare una narrazione comunitaria e proiettarla nel mondo. Cosa sta pensando e cosa sta imparando la comunità da questa tragedia? Cosa fate in quanto bibliotecari e cosa può funzionare.
Cosa possono imparare altri bibliotecari su come reagire a questi eventi terribili?
E’ diventata la mia missione sollecitare i bibliotecari ad essere agenti impegnati, attivi nella trasformazione sociale. In altre parole, è diventata la mia missione far sì che i bibliotecari migliorino le loro comunità attraverso un atteggiamento proattivo. Io credo sia cruciale per i bibliotecari cercare attivamente di cambiare il mondo e di renderlo un luogo per dove avvengono sempre meno infamie come l’attacco di pochi giorni fa. Fare questo fa paura.
Noi non siamo formati come terapisti del dolore e nessuno sceglie con leggerezza di correre verso un conflitto. Eppure se noi crediamo che i bibliotecari devono rendere migliori le nostre comunità (più sapienti, più capaci, più empowered) allora non possiamo tirarci indietro e dare un contributo attivo.
La formazione professionale promuove in maniera ancora insufficiente un approccio che vada oltre il semplice confronto tra discipline e processi che costituisce invece un fattore chiave nell’esercizio di attività che accomunano i nostri istituti e le professioni in un panorama complessivo che sollecita con sempre maggior urgenza la tutela, la valorizzazione, la gestione integrata del patrimonio culturale.Il tutto nel quadro di una marcata vocazione sociale e non solo culturale degli istituti che ha a che fare con il diritto all’informazione, con la conoscenza identitaria, con il confronto tra culture e con la formazione permanente per tutti. Le associazioni professionali che hanno anche la funzione di attestare le competenze dei professionisti sono fortemente chiamate a disegnare un nuovo cammino, in un contesto di confronto internazionale e in stretto rapporto con gli stakeholder».